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Oltre lo spettacolo olimpico cinese – Il Riformista, 7 marzo 2022

Le Olimpiadi invernali di Pechino sono iniziate. Saranno 19 giorni di gara fino al 20 febbraio, giorno della Cerimonia di chiusura.

Sarà che non devono occuparsi dei retroscena della rielezione di Mattarella, del festival di Sanremo o dei compensi di Matteo Renzi, fatto sta che i giornali di tutto il mondo hanno puntato i riflettori sulla Cina e su quel che l’impero di mezzo sta cercando di mettere in mostra e hanno sottolineato quanto le cose siano cambiate in questi anni.

“È il racconto di due Olimpiadi”, ha scritto Fareed Zakaria nella sua rubrica sul Washington Post, riferendosi (echeggiando il titolo del celebre romanzo di Dickens) alle Olimpiadi estive che si sono tenute a Pechino nel 2008, quando “determinata a impressionare il mondo con il suo soft power, la Cina abbagliava il mondo con le sue prodezze economiche e la sua perfezione tecnologica”.

Da allora molte cose sono cambiate. Sotto il presidente Xi Jinping, la Cina ha posto un freno alle libertà in patria e ha molestato altri paesi. Gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, il Giappone, l’Australia hanno deciso, con altri paesi, il boicottaggio diplomatico dei giochi in segno di protesta contro le violazioni cinesi dei diritti umani nello Xinjiang (che la Cina continua a negare). E sebbene la crescita economica della Cina sia stata impressionante, guardando le cose più da vicino, osserva Fareed Zakaria, il governo di Pechino, che ha avuto successo in alcune aree, ha fatto anche errori gravi, come la politica del figlio unico (una delle politiche di controllo delle nascite), ed ha accumulato una montagna di debiti. Quella “scatola nera” rappresentata dal governo cinese, scrive Fareed Zakaria alludendo ad un sistema complesso il cui funzionamento interno è spesso nascosto o non facile da comprendere, “sembra sempre più imponente vista dall’esterno” e ricorda che “l’apertura e la competizione (economica, politica e sociale) degli Stati Uniti sembra spesso caotica, ma è resistita nei secoli mentre modelli di governo apparentemente efficienti hanno fallito.”

Di solito le Olimpiadi esaltano l’unità mondiale, ma quest’anno i giochi rappresentano un mondo diviso”, scrive l’Economist, che riflette a sua volta su quanto sia cambiato il mondo dalle Olimpiadi di Pechino del 2008. “Anche allora il mondo era preoccupato per la Cina. Il paese stava conducendo una campagna molto dura per schiacciare le agitazioni in Tibet. Le organizzazioni per diritti umani invocavano il boicottaggio. Ma molti esponenti occidentali credevano ancora che il rafforzamento delle relazioni con la Cina avrebbe spinto il paese ad accettare lordine globale guidato dallOccidente, o perlomeno avrebbe aiutato a tenere a bada il nazionalismo anti-occidentale. Il presidente americano George W. Bush e il suo omologo francese, Nicolas Sarkozy, avevano partecipato alla cerimonia di apertura”.

Da allora, le speranze di un processo di apertura e liberalizzazione da parte della Cina sono svanite, scrive il settimanale inglese. Anche Richard McGregor su Nikkei Asia, ricorda l’impegno cinese del 2008, che ora sembra incredibilmente premuroso, di permettere, durante le Olimpiadi, lo svolgimento di manifestazioni di protesta in area dedicate.

Poi ci sono i burner phone, i telefoni usa e getta. I funzionari sportivi e gli addetti alla sicurezza di molti paesi hanno messo in guardia sul probabile cyber spionaggio da parte della Cina sugli atleti e l’FBI ha suggerito agli atleti americani di lasciare a casa il loro telefono personale. Al punto che Matt Burgess ha soprannominato i giochi in corso the burner phone Olympics. Anche la redazione del Wall Street Journal ha fatto altrettanto, valutando che “l’attrazione della ricchezza e del potere cinese sia giunta alla fine”.

Anche la libertà di espressione degli atleti è un tema scottante. Come ha scritto il South China Morning Post, un funzionario olimpico cinese ha avvertito che gli atleti potrebbero essere puniti per qualunque dichiarazione che risultasse “contro lo spirito olimpico e in particolare contro le norme e i regolamenti cinesi”. È plausibile ipotizzare che un atleta si pronunci, per esempio, contro la repressione cinese in Xinjiang sui social media (la Cina ha dichiarato che per gli atleti non restringerà l’acceso a Internet come fa per i propri cittadini) e non è chiaro cosa accadrebbe se uno di loro dovesse farlo, ha scritto David S. Goodman per The Conversation.

Anche Le Monde ha sottolineato che le cose sono cambiate e che questa volta le Olimpiadi si svolgono sotto una campana di vetro, una “bolla” sanitaria e politica, progettata dalla dirigenza cinese per isolare la competizione sportiva dal resto del Paese. “È un universo quasi orwelliano ad accogliere atleti e visitatori stranieri, separati dal mondo e spesso compartimentati tra loro. I biglietti per il famoso stadio Bird’s Nestnon sono stati messi in vendita al pubblico; i 23 milioni di pechinesi stessi sono soggetti ad un semi-lockdown. Questi Giochi invernali sono tutt’altro che un evento popolare: la piccola sfera sportiva è così chiusa, ha osservato il nostro inviato, che molti cinesi non sanno nemmeno che il loro Paese ospiterà i Giochi Olimpici”, scrive la redazione del quotidiano francese.

“Il modo in cui queste restrizioni sanitarie vengono attuate riflette un altro vincolo più ampio, che è quello del regime politico”, prosegue l’editoriale. “Se nell’agosto 2008, all’apertura dei Giochi di Pechino, il mondo nutriva ancora la speranza di una Cina che, sotto l’effetto della sua spettacolare crescita economica, della sua apertura al commercio internazionale e del miglioramento del tenore di vita dei suoi abitanti, si sarebbe liberalizzata gradualmente, nel 2022 questa speranza non è più all’ordine del giorno”.

“Alla guida del Partito Comunista da dieci anni, il presidente Xi Jinping tiene le redini del potere più saldamente che mai. Questo autunno, il 20° Congresso del PCC dovrebbe concedergli un terzo mandato e confermare così la sua presa sul Paese e sulla vita di un miliardo e mezzo di cinesi. Nel 2008 Hong Kong era un territorio libero, creativo e dinamico. Con fermezza e metodicamente, Xi Jinping ne ha soffocato la democrazia e, a dispetto degli impegni presi quando il territorio è stato restituito alla Cina, ha posto fine al regime ‘un Paese, due sistemi’” (la formula, coniata dall’ex leader cinese Deng Xiaoping, prevedeva il riconoscimento di un’unica sovranità all’interno della quale coesistono diverse realtà amministrative).

“Nel 2008 – scrive ancora Le Monde – la repressione in Tibet ha concentrato le critiche della comunità internazionale. Oggi si svolge anche su larga scala nel segreto dello Xinjiang, dove il regime cinese ha messo in piedi una gigantesca macchina repressiva; milioni di musulmani uiguri sono internati nei campi di rieducazione e sottoposti a ogni tipo di violazione dei diritti umani. Nel 2008 a Pechino avvocati, giornalisti e artisti hanno coraggiosamente cercato di esercitare la libertà di espressione. Nel 2022 questi spazi di espressione sono stati chiusi. L’artista Ai Weiwei, che ha contribuito a progettare lo stadio olimpico ‘nido d’uccello’ di Pechino, ora vive in esilio”.

In aggiunta, Cina e Russia, “insieme”, ”coordineranno” le loro posizioni sui “punti caldi” del globo. Lo ha detto Vladimir Putin che ha incontrato Xi Jinping a margine dei Giochi.   

Che, come scrive Gideon Rachman, Russia e Cina stiano cercando di rimodellare il mondo a loro immagine e somiglianza, è sotto gli occhi di tutti. La stessa crisi Ucraina fa parte di uno scontro più ampio che punta a ridimensionare il potere degli Stati Uniti per fare del mondo un luogo più confortevole per i despoti. E quando venerdì scorso il presidente russo e quello cinese si sono incontrati, è possibile che, come ha scritto Danil Bochkov su Nikkei Asia, i due stessero “sincronizzando gli orologi”. In molti si sono chiesti, infatti, se Putin avrebbe evitato una nuova invasione dell’Ucraina per non rovinare la ribalta olimpica di Xi e se una tale invasione potrebbe servire, invece, a distogliere l’attenzione degli Stati Uniti dal Pacifico e, in modo cruciale, da Taiwan.

Benvenuti nel 2022”, ha chiosato, non per caso, Le Monde.

Alessandro Maran

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