Ho letto “Ti sono accanto e ti tengo per mano…”, il libro, curato dalla moglie Luciana, che raccoglie alcune riflessioni di Iginio Ariemma sulla sua vita politica; alcune lettere inviate agli amici e ai colleghi di partito; le lettere ai nipotini; le sue poesie dedicate alla moglie, alla famiglia e alla natura.
Iginio, che è stato segretario del Pci di Torino e del Veneto ed ha ricoperto vari incarichi di direzione a livello nazionale, era uno studioso e un’analista politico acutissimo (che ha denunciato in vari libri la crisi progettuale della sinistra post-comunista) e, come ha ricordato Floriana Rullo sul Corriere, era «soprattutto un uomo di sensibilità e gentilezza unica. Una persona gentile e sempre disponibile che, grazie alla sua profonda intelligenza, non si era mai sottratto alle critiche e soprattutto all’autocritica».
Non mi ha sorpreso apprendere che, come ricorda Luciana nell’introduzione, il «concetto politico filosofico» sul quale Iginio ha insistito sino agli ultimi giorni della sua vita sia stato: «La libertà viene prima», frase lapidaria di Bruno Trentin. «Libertà, uguaglianza sono valori assoluti, ma l’uguaglianza deriva dalla libertà. La libertà è la progenitrice della sinistra. Non c’è sinistra senza libertà. È il valore assoluto da cui dipendono tutti glia altri… La libertà viene prima, come abbiamo fatto a non capirlo!».
Non mi ha sorpreso neppure, come dichiara Michele Serra nella presentazione, scoprire che Iginio scrivesse poesie: «In quella leva di persone la letteratura e l’arte esercitavano una attrazione fortissima», scrive Serra. «Fu un tipografo dell’Unità, un operaio con le mani nere d’inchiostro, a suggerirmi di leggere Martin Eden di Jack London: avevo ventuno anni. La maniera di parlare (di leggere, di scrivere) era il principale tratto distintivo di quella vasta tribù. La parola era considerata l’arma più potente. I discorsi venivano levigati, soppesati, discussi come se da loro dipendesse tutto. È attorno alle parole (la via italiana al socialismo, il compromesso storico, l’austerità) che nelle sezioni si faceva notte, ci si divideva, ci si ritrovava. Se ripenso al Pci, penso soprattutto a un interminabile discorso».
Quello di Iginio è un continente perduto, come Atlantide (sprofondata «in un singolo giorno e notte di disgrazia»). Un mondo che si è inabissato e che, un tempo, è stato un regno insulare prodigioso, caduto per volontà degli dèi, che ne hanno inteso punire la protervia. Pur trattandosi di una storia ancora dibattuta, il passato del Pci è ormai depositato in scrigni museali; è una vicenda non più tangibile, se non ricomponendo tracce e reperti. Il libro curato da Luciana Azzalone Ariemma parla di Iginio, di «Eudaimonia» (nel linguaggio filosofico, della felicità intesa come scopo fondamentale della vita e come fondamento dell’etica) e di un continente scomparso.
Alessandro Maran