Dal 2014, il collasso politico ed economico del Venezuela ha provocato l’esodo di 4 milioni e mezzo di persone; e più di 1.700.000 dei migranti (stando ai dati del novembre scorso) vivono nella vicina Colombia.
Prima della pandemia, dal paese sudamericano scappavano ogni giorno 5000 venezuelani. Ma nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha peggiorato anche la crisi dei rifugiati venezuelani. Dal marzo 2020, la (quasi) paralisi delle attività economiche, le limitazioni ai movimenti, la chiusura delle frontiere e i lockdown adottati in tutta la regione, hanno comportato una modifica delle dinamiche migratorie: si è ridotto il numero dei venezuelani in fuga ed è aumentato il numero di migranti che entrano attraverso percorsi irregolari. Ma queste misure hanno aumentato anche le difficoltà che affrontano i migranti e i rifugiati venezuelani, e, quindi, nei paesi ospiti le sfide per l’assistenza, la protezione e l’integrazione di persone molto vulnerabili si sono esacerbate. L’Organizzazione degli Stati americani (OAS) prevede che se le frontiere dovessero riaprire nei primi mesi dell’anno e il regime illegittimo del Venezuela dovesse rimanere in sella, nel 2021 ci potrebbero essere almeno 7 milioni di migranti e di rifugiati venezuelani.
La settimana scorsa, il presidente conservatore colombiano Iván Duque, ha annunciato che regolarizzerà i migranti e i rifugiati che vivono attualmente in Colombia senza documenti, garantendo loro dieci anni di status legale temporaneo, incluso, una volta registrati, il diritto lavorare e l’accesso al sistema sanitario.
Come ha osservato Julie Turkewitz del New York Times, Duque ha motivato la decisione sia in termini umanitari («Si tratta di un atto di solidarietà verso i venezuelani»), si in termini molto pragmatici: «Nel nostro paese abbiamo quasi un milione di migranti di cui non conosciamo il nome». «Non sappiamo dove siano, quanti anni abbiano, quale sia la loro condizione socio economica», ha rimarcato Duque. «E questa è una brutta situazione. É una brutta situazione perché non ci consente di avere una politica sociale chiara. Ed è una brutta situazione perché non ci consente di avere una politica di sicurezza chiara».
Questa settimana la redazione del Financial Times ha elogiato il presidente colombiano scrivendo: «In un mondo in cui i sentimenti nazionalisti sono stati alimentati troppo spesso contro rifugiati e migranti, il gesto della Colombia spicca come un esempio. Merita di avere successo, ma è necessario uno sforzo enorme per registrare i venezuelani, emettere i documenti e assicurarsi che ricevano asilo e servizi fondamentali. Il resto del mondo dovrebbe fornire un sostegno».
Sarebbe sempre ora. Specie se si considera che il Venezuela è ancora senza vaccini e che il presidente Nicolàs Maduro, in un discorso alla nazione tramesso in diretta tv ha presentato un «prodigioso» farmaco a base di timo, il Carvativir: «gocce miracolose in grado di neutralizzare i sintomi del Coronavirus».