GIORNALI2014

Il Gazzettino, 7 ottobre 2014 – LA FRAMMENTAZIONE DEI COMUNI E LA LEZIONE DEI LÄNDER TEDESCHI

La Giunta regionale ha approvato la nuova bozza di articolato per il riordino del sistema Regione-Autonomie locali in FVG. Era ora. Ma vediamo di ricapitolare. Si era detto: togliamo di mezzo le province e ripensiamo ex novo l’articolazione del governo locale in regione. Giusto. Ma se le province avevano una ragion d’essere, ce l’avevano proprio laddove è maggiore la polverizzazione comunale. Dunque il vero nodo da affrontare resta quello dell’accorpamento dei micro-comuni.

La dimensione territoriale dei nostri comuni è ancora quella del Medioevo: la distanza che si poteva percorrere a piedi sulle strade di allora nelle ore di luce. Ma oggi l’economia del Paese ha bisogno di avviare grandi trasformazioni e il ripensamento di un’organizzazione territoriale finora policentrica e dispersa (un ripensamento che deve avvenire in direzione dell’apertura alla globalità, da una parte, e in direzione dell’integrazione tra più città e più sistemi locali, dall’altra) costituisce forse il capitolo più importante di questo progetto.

Le città, infatti, stanno mutando funzioni, posizione e funzionamento interno in tutta Europa e l’organizzazione della produzione e dei servizi, per tutte le cose di qualità, sta sempre più uscendo dal tradizionale spazio urbano, divenuto troppo limitato, per approdare ad aree più estese. E in tutta Europa, negli anni ’90, c’è stato un grande fervore riformatore per definire un nuovo ordine territoriale.

A Rotterdam un network amministrativo che include anche altre municipalità è stato tentato per definire la «Citta-regione»; a Lione si è creata una «regione urbana» con le città vicine e così via. In Germania i comuni erano addirittura 24.476 e ogni Land ha usato le ricette più convenienti per gli accorpamenti. In Baviera è stato individuato un comune-guida per ogni comprensorio sul quale intervenire affidando a esso i compiti fondamentali dell’amministrazione. In Renania-Westfalia invece si è proceduto a fusioni vere e proprie con l’obiettivo di base (poi raggiunto) di creare comuni con almeno 5mila residenti nelle aree agricole e con almeno 25mila in quelle industriali. Nel Canton Ticino 45 comuni si sono uniti in 15 nuove aggregazioni, in Danimarca hanno ridotto i Comuni da 1388 a 275, in Belgio da oltre 2500 a meno di 600, in Inghilterra da 1830 a 486. E potrei continuare.

Da noi? Almeno metà dei comuni italiani ha una popolazione inferiore ai 5000 abitanti e fin dal 1990 la legge prevede («in previsione di una loro fusione») l’unione di comuni «per l’esercizio di una pluralità di funzioni». Ma non è successo nulla. Non si è sperimentato nulla. Neppure in FVG, che pure vanta competenza legislativa «esclusiva» in materia di ordinamento degli enti locali. Anche se proprio uno studio della Regione degli anni ‘90 attestava addirittura che i comuni fino a 10mila abitanti sono un «vincolo allo sviluppo». E’ ora di prendere il toro per le corna. So bene che quello delle cento città è un mito antico della politica italiana, ma questa deve rinnovare le sue parole d’ordine se vuole affrontare le sfide del futuro. La globalizzazione è anche una competizione tra il settore pubblico di un paese e quello degli altri. La riorganizzazione della rete comunale è un compito storico, per il quale è tempo che la nostra «speciale» Regione cominci a lavorare almeno con la stessa sollecita attenzione dei Länder tedeschi.

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