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Il RCEP annuncia l’alba del «secolo asiatico»? – Il Riformista, 16 novembre 2020

I capricci presidenziali più lunghi d’America non mostrano segni di cedimento. Ad ogni modo, mentre l’America sta cercando di superare un’elezione difficile, il resto del mondo sta andando avanti.

Il mega accordo di libero scambio firmato ieri da 15 paesi dell’Asia e del Pacifico è la prova tangibile di come il ritiro degli Stati Uniti dalla leadership globale sotto la presidenza Trump abbia costretto gli altri paesi ad adeguarsi e a darsi da fare per proprio conto. Si tratta, ovviamente, anche di un forte impulso all’influenza geopolitica della Cina e pone una sfida immediata a Biden, che vorrebbe rafforzare il ruolo degli Stati Uniti come una potenza del Pacifico, ma deve affrontare severi vincoli politici a casa propria.

Il Regional Comprehensive Economic Partnership, o RCEP, comprende i 10 membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, oltre a Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Meno completa della Trans Pacific Partnership (l’accordo che Trump ha abbandonato), l’intesa commerciale fa diventare realtà una delle più grandi paure di Washington: la Cina ora avrà voce in capitolo nella creazione delle regole commerciali della regione.

«Secondo gli analisti, il parternariato economico regionale globale (RCEP) diventerà l’accordo commerciale più importante del mondo in termini di prodotto interno lordo (PIL) e riguarderà oltre 2 miliardi di abitanti», ha scritto ieri Le Monde. Inoltre, come ha sottolineato Japan Today, molti in Asia sperano che l’accordo, che «comprende quasi un terzo di tutta l’attività economica globale», aiuterà «ad accelerare una ripresa dagli shock della pandemia».

Si tratta tuttavia, come mette in rilievo Le Monde, anche di una risposta alla passività degli Stati Uniti che in questi anni hanno lasciato campo libero a Xi Jinping. «Questo patto commerciale è anche largamente considerato come un mezzo per la Cina di estendere la sua influenza nella regione e di determinarne le regole, dopo anni di passività da parte degli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump. Nel gennaio 2017, quest’ultimo aveva ritirato il suo paese dal grande progetto concorrente, il Trattato di libero scambio transpacifico (TPP), promosso dal suo predecessore democratico, Barack Obama»

Tutto questo crea parecchi problemi a Biden, che ora si trova di fronte ad un dilemma. Come può dimostrare che gli Stati Uniti sono «tornati» in Asia senza fare in modo che diventino parte delle infrastrutture commerciali della regione? Ma come può conciliare una tale esigenza con un clima politico negli Stati Uniti (a cominciare dagli Stati del Midwest che gli hanno fatto vincere le elezioni) che ormai considera qualsiasi forma di accordo commerciale solo l’equivalente di rinunciare a posti di lavoro americani?

La questione commerciale asiatica (che simbolicamente evidenzia l’importanza della regione in quello che molti analisti ritengono sarà «il secolo asiatico») è solo una delle questioni spinose che il nuovo presidente americano dovrà affrontare e che riflette il fatto che, sebbene l’elezione di Biden rappresenti per gli Stati Uniti indubbiamente un ritorno ad un ruolo più tradizionale nel mondo, le cose sono molto cambiate da quando stava alla Casa Bianca.

Alessandro Maran

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