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Finita (pare) la pandemia, dov’è diretta la Cina? – Il Riformista, 19 ottobre 2020

Sono in molti a diffidare dei dati che provengono dalla Cina. Anche, in passato, del resto, gli economisti hanno a lungo messo in dubbio la credibilità dei dati cinesi e si sono chiesti se la Cina non stesse barando.

Tuttavia, dopo gli iniziali fallimenti (negli ultimi mesi dell’anno scorso e nei primi mesi di quest’anno), tutte le indicazioni di cui disponiamo ci dicono che la Cina ha controllato il virus in modo efficiente. Come ha scritto Thomas Friedman, il celebre columnist del New York Times, «il Covid-19 doveva essere la Chernobyl della Cina» e invece, «alla fine, sembra essere la Waterloo dell’Occidente».

Come ci è riuscita? All’inizio dell’anno, il  governo autoritario cinese ha attuato dei lockdown molto rigidi, usando anche i droni di sorveglianza per assicurarsi che la gente rimanesse in casa. Ma il successo non è dovuto unicamente al dispotismo. La Cina ha tracciato attentamente ogni nuovo caso ed ha cominciato a trattare le persone infette prima che potessero diffondere ulteriormente il virus, un passo che gli Stati Uniti non sono riusciti a compiere. La Cina ha anche beneficiato del fatto che ha poche persone anziane che vivono nelle case di riposo, dove, secondo la rivista medica inglese The Lancet, in molti paesi si sono verificati focolai mortali. Infine, molte persone in Cina hanno affrontato la pandemia seriamente fin dall’inizio, anche grazie all’esperienza con la Sars nel 2002; e come ha detto a The Lancet, Xi Chen, un professore della scuola di sanità pubblica, gli altri paesi non hanno un ricordo altrettanto vivo di una pandemia.

Fatto sta che, come testimonia una «grande festa in piscina» che si è tenuta di recente proprio a Wuhan, dopo che per oltre un mese non ci sono stati nuovi casi di Covid-19, in Cina è ripresa la vita normale. Lo racconta Wang Xiuying nella London Review of Books: «In un primo momento la situazione Covid in Occidente era in ritardo di circa due mesi rispetto alla Cina. Ma, come dimostra il party in piscina a Wuhan, l’esperienza cinese si è ora discostata… La Cina ha iniziato a revocare il lockdown in aprile. I cinema sono stati tra gli ultimi spazi pubblici a riaprire, dopo i musei, i teatri, e persino Disneyland. … Le restrizioni stanno diminuendo dovunque in Cina. I voli internazionali stanno riprendendo, e gli amici che sono stati abbandonati mentre visitavano gli Stati Uniti e l’Europa stanno rientrando uno dopo l’altro. I biglietti aerei per un posto economico costano da tre a cinque volte più del solito, e i passeggeri all’arrivo devono rispettare le norme di quarantena: 14 giorni in un hotel apposito, coppie in camere separate, nessun visitatore consentito. Sono sottoposti a dei test quasi ogni giorno, e devono sopportare il cibo non molto stuzzicante che è loro somministrato: la consegna di cibo è fuori questione. Dopo, organizziamo una bella cena per festeggiare il loro ritorno alla vita normale».

Ma ora che l’esperienza con la pandemia sembra essere finita, che strada sta prendendo il paese?

Julian Gewirtz ha scritto di recente su Foreign Affairs che le élite politiche cinesi ritengono che sia scritto (in cielo) che la Cina superi gli Stati Uniti, una superpotenza in inevitabile declino, destinata a crollare sotto il peso di un sistema capitalista difettoso e a cadere vittima di una tendenza storica al di là del suo controllo; e che il Covid-19 ne evidenzi la traiettoria. Wang ha riscontrato sentimenti molto simili tra i «leoni da tastiera» che, online, paragonano la Cina ai barbari che travolgono le fortificazioni poste a difesa di un’egemonia americana in declino, destinata ad essere presto rimpiazzata, dato che «la promozione dell’ordine, della stabilità, della meritocrazia, della competenza, dell’efficienza e della convenienza da parte della Cina sembra progressivamente superiore al pacchetto occidentale. Le elezioni, il libero mercato, il sistema giudiziario, l’assistenza medica e l’istruzione sono contestati su tutti i fronti e hanno smarrito lo smalto di un tempo».

Le élite politiche cinesi sostengono perciò che l’America cercherà di «impedire l’ascesa della Cina», indipendentemente da chi vincerà le elezioni di novembre. Per questo, Gewirtz scrive, se Joe Biden dovesse diventare presidente, faticherà parecchio ad invertire la rotta che ha assunto il confronto politico ed economico con Pechino. Gewirtz sostiene anche che spetta agli Stati Uniti affrontare i problemi di casa propria (mettendo, per esempio, sotto controllo il Covid-19 e promuovendo la giustizia razziale per dimostrare la validità del sistema democratico) e per «dimostrare quanto si sbagli il Pcc sull’inesorabile declino degli Stati Uniti. La visione fosca da parte della leadership cinese sulle prospettive degli Stati Uniti è sbagliata. … Gran parte di ciò che gli Stati Uniti devono fare per competere efficacemente con la Cina è nelle loro mani – e c’è ancora tempo per agire».

La strada imboccata dalla Cina riguarda anche l’Europa. L’impegno assunto di recente dalla Cina di raggiungere emissioni zero entro il 2060, è ovviamente una grande notizia per l’ambiente. Ma, come scrive John Seaman dell’Institute Français des Relations Internationles, la mossa non è «disinteressata». Man mano che la Cina diventa più assertiva nelle sue relazioni esterne e indispone alcuni paesi, scrive Seaman, la diplomazia cinese ha bisogno disperatamente di una vittoria, e il cambiamento climatico è spesso considerato un successo a portata di mano, relativamente «facile» (sebbene, in realtà, raggiungere la neutralità climatica non sarà affatto facile). E visto che il clima è spesso la prima (e qualche volta l’unica) area identificata come un ambito di cooperazione necessario dagli europei, ciò permette a Pechino di cogliere qualche «frutto a portata di mano».

C’è chi in Cina vorrebbe porsi un obiettivo ancora più ambizioso, ma bisogna vedere come intende procedere il governo nazionale, posto che «ha l’equivalente di 250 gigawatts di centrali a carbone in corso di sviluppo nel paese (più dell’intera capacità di generazione degli Stati Uniti)», scrive Seaman; e nello stesso tempo Pechino ha investito in progetti a carbone in altri paesi, e non è chiaro che ne sarà di loro. Non c’è dubbio che la Cina ha più di un motivo per limitare le emissioni (in Cina l’impatto sul clima si farà sentire «sproporzionatamente»), ma il mondo non dovrebbe precipitarsi a considerare la Cina un «partner per tutte le stagioni”, sostiene Seaman, scrivendo che Pechino «non dovrebbe passarla liscia su altre questioni di vitale importanza solo in nome della cooperazione sul clima».

Ce lo ricorda anche la cover story dell’Economist di questa settimana, che riporta nuove informazioni sul trattamento, all’interno e all’esterno del paese, dei 12 milioni di cinesi che fanno parte della minoranza degli Uiguri. La loro persecuzione da parte dello Stato, nel mondo di oggi corrisponde alla più estesa e sistematica violazione del principio (fondamentale) secondo il quale gli individui hanno diritto alla libertà e alla dignità semplicemente perché sono persone.

Alessandro Maran

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