In America, i cronisti si stanno preparando per le rivelazioni di John Bolton, l’ex insider di Trump che è stato consigliere per la sicurezza nazionale (poi licenziato dallo stesso Trump il 10 settembre 2019). Si prevede che nel suo libro (che uscirà martedì prossimo, a meno che un’azione legale non riesca ad impedirne la pubblicazione), Bolton renderà noto ogni dettaglio del disordine trumpiano di cui è stato testimone privilegiato all’interno della Casa Bianca. Il libro si intitola, infatti, «The Room Where it Happened: A White House Memoir», la stanza dove è successo.
Intanto, in una intervista già registrata su ABC News, Bolton accusa il presidente di aver mentito e lascia intendere che i due probabilmente non si parleranno più; e in un estratto pubblicato mercoledì scorso dal Wall Street Journal afferma che Trump avrebbe chiesto al presidente cinese Xi Jinping di aiutarlo a farsi rieleggere. «Trump, allora, incredibilmente, portò la conversazione sulle prossime elezioni presidenziali americane, alludendo alle possibilità economiche della Cina e supplicando Xi di garantirgli la vittoria», scrive Bolton a proposito dei negoziati commerciali tra Trump e Xi che si sono svolti ad Osaka il 29 giugno dell’anno scorso. «Ha sottolineato l’importanza, per il risultato elettorale, degli agricoltori e dell’aumento degli acquisti cinesi di soia e di frumento. Mi piacerebbe riportare le parole esatte, ma la procedura di revisione del testo richiesta dal governo prima della pubblicazione (per tagliare i passaggi che potrebbero danneggiare la sicurezza nazionale) ha deciso diversamente».
Bolton sostiene che se i Democratici avessero esaminato «il comportamento di Trump riguardo a tutta la sua politica estera, il risultato dell’impeachment avrebbe potuto essere molto diverso». Secondo Bolton, Trump ha preso la maggior parte delle sue decisioni per interesse personale. «Trump ha mescolato privato e pubblico non solo sulle questioni relative al commercio ma per quel che riguarda tutto il campo della sicurezza nazionale», scrive Bolton. «Non mi è possibile identificare, nel corso della mia permanenza in carica, una qualche decisione importante da parte di Trump che non sia stata guidata da calcoli relativi alla sua rielezione».
Ma Bolton si rifiutò di testimoniare volontariamente durante la procedura d’impeachment, come avrebbero voluto i Democratici. E non è detto che il libro riesca a fare ora quello che Bolton non ha voluto fare in gennaio. Un tour promozionale non è la stessa cosa di una testimonianza resa sotto giuramento.
Ha fatto molto discutere in questi giorni anche un articolo di Anne Applebaum intitolato «La storia giudicherà i complici – Perché i leader Repubblicani hanno abbandonato i loro principi a favore di un presidente immorale e pericoloso?» Nel suo lungo saggio sull’Atlantic, che vale la pena di leggere aspettando le notizie bomba di Bolton, Anne Applebaum propone un paragone (che alcuni potrebbero considerare esagerato) tra i supporter Repubblicani del presidente Trump (in particolare, i critici di un tempo che ora hanno fatto pace con il presidente che ha calpestato i valori che i conservatori custodivano gelosamente) e coloro che nel corso della storia hanno collaborato con i regimi autoritari (dalla Francia di Vichy alla Germania est della Stasi, dalla Polonia comunista al Venezuela di Chavez: tutti esempi che Applebaum considera istruttivi). La giornalista americana naturalizzata polacca, si preoccupa, ovviamente, di sottolineare che la questione non è quella di paragonare i sostenitori di Trump ai nazisti o agli stalinisti, ma di analizzare perché la gente mette in discussione i propri ideali, trasformandosi, per necessità o per opportunismo, in sostenitori di un regime che altrimenti avrebbe detestato.
Trump ha tendenze autocratiche, avverte Applebaum, sostenendo che il più delle volte l’autoritarismo si insinua gradualmente e che un dittatore esige sacrifici che tendono ad aumentare nel tempo. Di quella che considera la prima trasgressione di Trump, la sua menzogna ridicolmente eclatante sulla dimensioni della folla presente all’Inauguration Day del 2016, Applebaum scrive: «Come i leader autoritari di altre epoche ed altri luoghi, Trump ha ordinato davvero, non soltanto ai propri supporter ma anche ai membri della burocrazia statale di attenersi ad una realtà manipolata, smaccatamente falsa».
Il punto è, appunto, la natura graduale dei compromessi, sostiene Applebaum, scrivendo che quanti hanno collaborato con i regimi autoritari, hanno fatto questa scelta per le stesse ragioni degli esponenti Repubblicani che sono rimasti nell’amministrazione Trump (e che cominciano a raccontarsi storie che ricordano quelle descritte da Czesław Miłosz nel suo libro «La mente prigioniera»).
Quelle ragioni, scrive Applebaum, vanno dalla convinzione di poter cambiare le cose dall’interno all’idea di lavorare, grazie alla posizione all’interno dell’amministrazione, su qualche questione di particolare importanza, fino all’ardente convinzione che la propria parte sia comunque migliore dell’altra. Una delle ragioni suona così: «Devo restare vicino al potere». John Bolton, dopotutto, ha intitolato il suo libro «la stanza dove è accaduto», perché, naturalmente, è proprio lì che voleva stare. «Un amico che incontra spesso Lindsey Graham a Washington – prosegue Applebaum – mi ha detto che ogni volta che si incontrano, ‘si vanta di aver appena visto Trump’ mentre esibisce livelli di eccitazione ‘adolescenziali’, come se ‘un quarteback popolare avesse appena elargito un po’ d’attenzione ad un leder secchione di un debate-club – Piaccio al ragazzo più grande e più forte!’».
Ma «il prezzo del ‘collaborazionismo’ in America si è già rivelato straordinariamente alto», scrive Applebaum. «Eppure, la discesa lungo il pendio scivoloso continua, come è capitato in molti paesi occupati nel passato. Prima i ‘facilitatori’ di Trump hanno accettato le menzogne sull’inaugurazione; ora accettano una orribile tragedia e la perdita della leadership americana nel mondo. E potrebbe peggiorare. A novembre, tollereranno – o perfino spalleggeranno – un attacco al sistema elettorale: i tentativi espliciti di impedire il voto per posta, di chiudere seggi elettorali, di allontanare la gente dal voto? Approveranno la violenza, dato che i fan del presidente sui social media incitano i dimostranti a lanciare attacchi contro le autorità cittadine e statali?».
Gli americani avrebbero dovuto ascoltare John Bolton mentre rivolge al presidente le accuse contenute nel libro, sotto giuramento e nel corso del controinterrogatorio, durante il processo sugli abusi di potere del presidente. Non c’è nessuno che, più di Bolton, avrebbe potuto contribuire ad un’inchiesta a largo raggio sull’impeachment. Ma come ha osservato il deputato Adam B. Schift, che alla Camera dei rappresentanti ha guidato il gruppo che ha istruito l’impeachment, «Bolton può anche essere uno scrittore, ma non è un patriota».