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Se ora il futuro dipende dalla “connettività”

I giornali locali, abbandonato per il momento l’inestinguibile dibattito sulla specialità (le sue «ragioni» e suoi «nemici»), appurato cosa farà Debora Serracchiani, stabilito che per vincere le elezioni sono necessarie coalizioni «larghe» (tralasciando che sono destinate, a livello nazionale, a scomporsi un secondo dopo il voto perché farlocche) non fanno che parlare dei posti in palio alle politiche. Va da sé che i seggi in ballo nei collegi uninominali e al proporzionale sono importantissimi e che coalizioni, intese e alleanze sono essenziali, eppure, ogni tanto, non sarebbe male cominciare la giornata ponendosi le domande che dovrebbe porsi un leader: «In che mondo viviamo? E nel mondo di oggi, quali sono le tendenze più importanti? E come possiamo allineare il nostro paese (la nostra regione, la nostra città) in modo che i cittadini possano sfruttare al massimo queste tendenze e proteggersi dal peggio?»

Il mondo è cambiato, si sa, e il sistema internazionale costruito dopo la seconda guerra mondiale è ormai irriconoscibile. E non sarebbe male, in vista delle elezioni regionali, tenerlo a mente.

Come ha scritto lo studioso indiano Parag Khanna, le principali caratteristiche del nostro complesso sistema globale sono una «crescente entropia» (cioè una diffusione del potere) e una «crescente connettività» in tutte le aree del pianeta.

Il decentramento è, come vediamo ogni giorno, la più potente forza politica della nostra era. Ovunque l’autorità scivola via dalle capitali nazionali in direzione di regioni e città che ricercano autonomia nei loro affari. Ma il decentramento ha un contrappeso necessario: l’aggregazione. Il mondo sta andando verso la formazione di blocchi regionali che svolgeranno il ruolo degli stati nel sistema westfaliano; e in un mondo in cui le strutture continentali come l’America, la Cina, e forse l’India e il Brasile, hanno già raggiunto la massa critica, per l’Europa, provare a realizzare davvero una unità significativa è una necessità.

La cosa ci riguarda da vicino. Non è un mistero per nessuno che la vertenza internazionale sull’assetto territoriale di Trieste e della Venezia Giulia sia stata un problema di politica internazionale che ha interessato il peace making. Ed oggi come allora, è europeo lo scenario in cui viviamo ed è europea la sostanza dei problemi. Non erano in gioco solo gli interessi nazionali, nemmeno in quel momento. In quella rocambolesca vicenda istituzionale e politica, vediamo dipanarsi la storia di un’Europa che si stava ricostruendo e la storia di un’Europa che si stava dividendo (e la divisione in blocchi era fonte di minaccia e di insicurezza). Oggi, invece, vediamo la storia di un’Europa che, malgrado il revival globale dei populisti e il ribollire dei particolarismi territoriali, non ha smesso di crescere e prova a completare la sua transizione al rango di unità regionale. E oggi come allora, i diversi territori della nostra Regione sono uniti da una comune prospettiva di sviluppo.

Se una volta la geografia era “un destino” (il futuro era deciso cioè dalle condizioni ambientali di un determinato luogo) ora, grazie ai trasporti, alle comunicazioni e alle infrastrutture energetiche globali, il futuro dipende dalla “connettività” e più la nostra Regione sarà “connessa”, più avrà voce in capitolo.

Se mettiamo da parte le vecchie cartine geografiche che mettevano in risalto i confini nazionali e proviamo a dare un’occhiata alle mappe che raffigurano le nostre infrastrutture (le metropoli, le reti elettriche, le autostrade, le ferrovie, le pipeline, le connessioni internet e tanto altro), vediamo che oggi le linee che ci connettono prevalgono sui confini che ci dividono, la competizione geopolitica non si manifesta attraverso le guerre per la conquista di un territorio, ma nelle dispute per la gestione dei flussi (di finanza, tecnologia, conoscenza, talento, ecc.) che si muovono lungo l’intera catena di distribuzione ed il vantaggio comparato ha sempre più a che fare con la quantità dei flussi (di idee, commercio, innovazione, istruzione, ecc.) che attraversano un determinato paese, una comunità (e, ovviamente, dal grado di istruzione e dalla formazione dei suoi abitanti che resta la condizione per trarne vantaggio).

Tutto questo significa che una Regione con la nostra deve fare della connettività (e della pianificazione della rete infrastrutturale funzionale ai flussi di risorse) la propria ragione di esistere. Ci sono, infatti, possibilità che possono essere colte solo intensificando le relazioni e i flussi. Specie se si considera, solo per fare un esempio, che l’Italia resta uno dei terminali più significativi della proiezione cinese verso la regione euro-mediterranea.

Tutto ciò, ovviamente, pone alla nostra Regione alcune sfide di adattamento. Ci sono culture che possono sostenere e approfittare di questa esplosione di contatti (con gli estranei e le loro strane idee) e culture che non ce la fanno. Questo farà la differenza. E bisogna costruire una coalizione politica in grado di proporsi e di sollecitare questo sforzo collettivo. Oggi, infatti, più le società sono aperte ai flussi commerciali, alle informazioni, alla finanza, alla cultura, all’istruzione, più sono disponibili ad imparare e a contribuire ai flussi, più è probabile che crescano con successo. È (anche) questo in ballo alle prossime elezioni.

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