Il 24 settembre, tra meno di un mese, si voterà in Germania. Un pò perché siamo ancora in balia di quella che gli inglesi chiamano la «silly season» (il periodo dell’anno in cui il parlamento non è in seduta, durante il quale i giornali pubblicano solo notizie frivole e di scarsa importanza), un pò perché il risultato del voto del 24 settembre sembra essere scontato, fatto sta che in molti (nonostante nelle ultime settimane in Germania i manifesti elettorali siano spuntati numerosi) sembrano essersene dimenticati.
Angela Merkel, che insegue il suo quarto mandato, è in piena campagna elettorale ed è super-favorita. Il distacco che conserva nei sondaggi (il principale avversario, il socialdemocratico Martin Schulz, è indietro di più di dieci punti) le consente di concentrarsi più sulla sua filosofia di governo e sulla sua visione del mondo che sulle questioni di politica interna. Vale la pena, infatti, di leggere l’intervista pubblicata qualche giorno fa da Handelsblatt, il quotidiano economico più prestigioso della Germania, nella quale una cancelliera molto sicura di sè (al potere da quasi 12 anni) parla di quel che possiamo imparare da Donald Trump, della Corea del Nord e della necessità per l’Europa di farsi sentire (Merkel, Uncut – Handelsblatt Global).
Non è un caso che, come riportano i giornali, Angela Merkel, durante l’intervista di mercoledì scorso con l’editore di Handelsbatt, Gabor Steingart, abbia esibito una grande sicurezza, aliena, come sempre, da ogni eccesso. Stando ai giornali, l’intervista si è svolta sul grande palco di un tipico luogo berlinese, in una sala post industriale molto chic, con caffè espresso di ottima qualità all’interno e con, all’esterno, i container della Maersk sulla riva del fiume visibili attraverso le ampie finestre. E, come ha notato Christopher Cermak, nonostante le numerose (e importanti) sfide che stanno di fronte alla Germania e al mondo interno, il suo body language era quello di un leader abile e tranquillo che sta veleggiando comodamente verso il quarto mandato.
Sempre diplomatica, ha mostrato comprensione per la popolazione furibonda degli Stati Uniti e per l’ascesa della sua nuova controparte americana, Donald Trump. «L’America è devastata dalla paura del declino», ha detto. Dopo gli anni in cui ha proiettato i suoi valori all’estero e aiutato il mondo a rimettersi in sesto dopo la Guerra fredda, molti americani comprensibilmente volgono lo sguardo all’interno, allo stato della loro economia. È comprensibile, ma è l’approccio sbagliato: «per essere ‘grande’ l’America deve preoccuparsi anche di come vanno le cose oltre i propri confini», ha spiegato. La sua sfida più grande degli ultimi anni, ha rimarcato, è stata proprio quella di affrontare questo modo di pensare nazionalista contestualizzando i benefici della globalizzazione in modo da ridurre le tentazioni di badare solo al proprio orticello. «Non possiamo pensare che per diventare più grandi, gli altri debbano diventare più piccoli. Il nostro punto di vista dovrebbe essere che tutti possiamo beneficiare della globalizzazione». E su questo ha insistito: «Con la globalizzazione possono vincere tutti. Non si tratta di un gioco a somma zero… Ecco perché continuerò a sostenere una visione della globalizzazione come un’opportunità dalla quale tutti possono trarre beneficio».
Vale anche per l’Europa, che Merkel ha lamentato essere terribilmente divisa quando si tratta di politica estera e di proiettare i suoi valori all’estero. Il che è un problema, specialmente quando si tratta di paesi come la Cina, ha spiegato, che sembra pensare che più la sua economia diventa grande e meno il mondo occidentale si preoccuperà delle sue violazioni dei diritti umani. «Questa non è la mia intenzione», ha chiarito.
La cancelliera tedesca ha avuto a che fare con alcuni leader molto tosti in questi 12 anni. E quando le è stato chiesto della sua strategia, ha offerto una risposta piuttosto elegante: non cercare di cambiare la testa della tua controparte, ma trova e sfrutta il suo spazio di manovra. E se non c’è spazio per il compromesso, non aver paura di «esprimere dissenso». E per dare un’idea di quanto in là è disposta a spingersi, Merkel ha detto che la Germania non sosterrà «automaticamente» gli Stati Uniti se si dovesse arrivare alla guerra nelle Coree. Quanto al vicino nord occidentale della Cina, la Corea del Nord, Angela Merkel si è detta fiduciosa: lo spazio per la diplomazia non è esaurito, si è impuntata, e non si intravede nessuna «soluzione militare» al conflitto. Anche qui, l’Europa potrebbe giocare un ruolo più ampio cercando di porre fine del conflitto. «Possiamo e dovremmo impegnarci di più».
È uno stile diplomatico che non l’ha fatta necessariamente benvolere dalla sua controparte americana, sebbene abbia riservato anche a Trump qualche lusinga. Sebbene si possa essere in disaccordo con Trump riguardo tutta una serie di questioni, si possono imparare un paio di cose da lui, ha sostenuto la cancelliera. Dopo tutto l’uomo ha vinto una campagna elettorale estenuante, nel corso della quale quasi nessuno pensava davvero avesse la minima possibilità.
Confortata dall’ampio vantaggio nei sondaggi, Merkel si è presentata come i tedeschi hanno imparato a conoscerla (e, generalmente, ad apprezzare): spiritosa e senza pretese. Pungolata ripetutamente dall’intervistatore con i paragoni con Otto Von Bismarck, un altro cancelliere tedesco conosciuto, tra le altre cose, per la Realpolitik e sua longevità (19 anni in carica), Angela Merkel ha risposto impassibile con una battuta: «Non sono così sicura che Bismarck afferrasse l’approccio ‘win-win’». Pare sia venuta giù la sala.