IN PRIMO PIANO

Venezuela: verso la guerra civile?

Non c’è dubbio che la determinazione di Maduro di sradicare le istituzioni democratiche finirà per accrescere la violenza, ma le tensioni in Venezuela possono portare alla guerra civile? Se lo chiede oggi il Guardian.

“The Venezuelan government’s determination to uproot the country’s democratic institutions – scrive il giornale – looks almost certain to raise the already serious level of violence in the country. Is it less clear whether that violence will ignite a civil war, trigger a coup, or simply drive Venezuela further down the road towards an impoverished failed state and chaos” (Could political tension in Venezuela ignite a civil war? | World news | The Guardian).

Dopo il voto (molto controverso) di domenica scorsa, che ha messo effettivamente il Venezuela sulla strada di una vera e propria dittatura, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni sul presidente Nicolas Maduro, inserendolo nel club esclusivo di quei leader la cui brama per il potere ha portato i loro paesi alla rovina che comprende il siriano Bashar al-Assad, Kim Jong-un della Corea del Nord e Rober Mugabe dello Zimbabwe. E non c’è alcun dubbio che Maduro appartenga a questa genia.

Il Venezuela, che possiede probabilmente le più ampie riserve di petrolio del mondo, poteva essere una delle democrazie guida del Sudamerica. Ma proprio l’eccessiva dipendenza dal petrolio ha portato al disordine politico ed economico, che è diventato disastroso quando Maduro ha cercato di emulare il suo predecessore, Ugo Chavez, ricorrendo ad una spesa pubblica sontuosa che la caduta del prezzo del petrolio e la cronica cattiva amministrazione hanno reso insostenibile.

L’80% dei venezuelani vivono in povertà, soffrono di malnutrizione, malattie e fame vera e propria. Maduro ha reagito alle diffuse proteste di piazza con il pugno di ferro, cercando inoltre di erodere il potere dell’assemblea nazionale, nella quale i suoi oppositori hanno la maggioranza. Più di 120 persone sono morte in questi mesi di proteste; e il giorno peggiore è stato domenica scorsa, quando Maduro ha portato al voto il suo piano (esplicito) di conquista del potere, attraverso l’elezione di una assemblea costituente addomesticata, che ha il compito di redigere una nuova costituzione in modo da permettere al Presidente di stringere la presa del governo sul potere, consentendogli di togliere di mezzo qualsiasi elemento della pubblica amministrazione ritenuto sleale. L’opposizione ha boicottato il voto, consentendo a Maduro di proclamare la vittoria, nonostante la bassissima (a quanto pare) partecipazione al voto. E martedì mattina, di buon’ora, due leader dell’opposizione, già sottoposti agli arresti domiciliari, sono stati catturati dagli agenti dei servizi di sicurezza.

Il Venezuela ieri è stato sospeso dal Mercosur per il mancato rispetto della “clausola democratica” del gruppo sudamericano. Ma, come ha scritto il New York Times, “contrastare la deriva di Maduro verso la dittatura è una sfida sia per i suoi oppositori interni che per quelli esterni. Boicottare il petrolio venezuelano o gli affari connessi al petrolio precipiterebbe il Venezuela in una crisi umanitaria; lasciare che Maduro vada avanti col suo disegno, potrebbe condurre alla radicalizzazione dei suoi oppositori e a una violenza incontrollata. Gli sforzi nella Organizzazione degli stati americani (OAS) per sospendere il Venezuela nel giugno scorso sono stati contrastati dagli alleati ideologici del paese e da alcune nazioni dei Caraibi che Caracas sostiene con il petrolio facile. E qualunque sanzione da parte degli Stati Uniti  – anche al di là della dubbia autorità morale della amministrazione Trump – non farebbe che alimentare le denunce di Maduro di una America ‘imperiale’ che sta cercando di rovesciare il Venezuela”.

Per ora, forse le sanzioni personali su Maduro (che implicano che tutte le sue proprietà americane siano congelate e che agli americani sia proibito fare affari con lui, e che fanno il paio con sanzioni simili dirette ad altri funzionari venezuelani con la minaccia di ulteriori sanzioni a venire) sono il modo migliore per fare pressione sul presidente venezuelano e sui suoi alleati. Ma, come sottolinea il quotidiano newyorkese, “la pressione degli Stati Uniti non è abbastanza. Le nazioni dell’Europa e dell’America latina dovrebbero unirsi nella quarantena nei confronti di Maduro e dei suoi compari, offrendo loro al contempo la possibilità di negoziare con l’opposizione per assicurare libere elezioni, il rispetto delle istituzioni, il rilascio dei prigionieri politici e consentire la fornitura di assistenza umanitaria internazionale di cui c’è urgente bisogno” ( Mr. Maduro’s Drive to Dictatorship – The New York Times).

Segnalo un altro pezzo interessante sul Venezuela. L’autore, Joaquín Villalobos, è uno di più influenti intellettuali latinoamericani. È un’autorità internazionale in materia di sicurezza e risoluzione dei conflitti (come consulente ha partecipato agli sforzi di peacemaking in Colombia, Messico, Sri Lanka, Filippine, Afghanistan, Bosnia e Irlanda del Nord). Ed è stato un comandante guerrigliero ed un leader politico salvadoregno. Basta dare un’occhiata a Wikipedia: “es un guerrillero y político salvadoreño, fundador y máximo dirigente del Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP) una de cinco organizaciones que conformaron en 1989, el Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, durante la Guerra Civil de El Salvador“.

Ha scritto su El País un’analisi che raccomando. Ho citato un passo dell’articolo nel mio intervento in occasione della Conferenza Stampa in Senato con Tulio Hernández: “Es totalmente falso que en Venezuela haya una lucha entre izquierda revolucionaria y derecha fascista; el régimen venezolano está enfrentado a una coalición de fuerzas esencialmente de centro que incluye a partidos, líderes, organizaciones sociales e intelectuales de izquierda que creen en la democracia y el mercado. Lo que está en juego en Venezuela es el futuro del centrismo político en Latinoamérica, porque en esta ocasión, las fuerzas democráticas no son compañeros de viaje de extremistas ni de derecha, ni de izquierda. La derrota del extremismo abre la posibilidad de alcanzar una mayor madurez democrática en el continente” ( Latinoamérica: Lo que queda de Venezuela | Opinión | EL PAÍS).

You may also like
La sfida tra europeisti e sovranisti del prossimo 4 marzo
Approvata la legge sul #finevita
Tocca anzitutto alle popolazioni locali respingere l’ideologia dell’estremismo