IN PRIMO PIANO

Il mio intervento in occasione della Conferenza Stampa con Tulio Hernández sulla situazione in Venezuela

Guarda il video della conferenza stampa ripresa da Radio Radicale cliccando qui

Ringrazio tutti voi di essere qui e ringrazio soprattutto Tulio Hernández e gli amici venezuelani che hanno reso possibile l’incontro di oggi, a cominciare da Carmen Leonor Ferro e Fabio Porta.

Lo scopo dell’incontro è quello di accendere i riflettori sul Venezuela e la sua “guerra silenziosa”. Così la descrive, infatti, nel suo numero più recente dedicato al paese dell’America latina, la rivista mensile “Formiche”, fondata da Paolo Messa, che è qui con noi.

E lo facciamo con lo scrittore, editorialista e sociologo venezuelano Tulio Hernández. Uno dei più eminenti intellettuali venezuelani costretto all’esilio dal suo Paese per aver manifestato dissenso nei confronti del regime Maduro – in una intervista a Juan Cruz de El Pais ha raccontato “su historia de viajero a su pesar” – e autore del libro dal titolo emblematico: “Una nación a la deriva”.

In Venezuela, infatti, da troppo tempo, si consuma una guerra civile silenziosa, eppure sanguinosa e terribile. Dopo un regime già deprecabile, la dittatura di Maduro si è rivelata totalmente fallimentare e ha determinato una reazione profonda in una popolazione piegata dalle difficoltà economiche. Il collasso di uno stato così importante avrebbe dovuto determinare una reazione di forte solidarietà e sollecitar un intervento adeguato. Invece, non si è visto granché.

Il Senato per iniziativa del presidente Casini, che è qui con noi, e della Commissione Esteri, qui rappresentata anche dal capogruppo del PD Giancarlo Sangalli, è intervenuto nel gennaio scorso con una propria risoluzione per sollecitare ogni utile iniziativa anche in sede europea. Anche per questo l’iniziativa di oggi ci è sembrata opportuna. L’Unione europea, spesso divisa su ogni singolo dossier di politica estera (dalla Libia all’Ucraina), potrebbe stavolta ritrovarsi in una battaglia di civiltà.

Specie se si considera che in questi giorni, e in queste ore, prosegue l’onda di protesta contro il presidente venezuelano Nicolas Maduro. L’opposizione riunita nel “Tavolo per l’unità democratica”, continua a protestare contro l’elezione dell’assemblea nazionale costituente prevista per domenica prossima. E prosegue anche la repressione della polizia che usa il pugno di ferro contro i manifestanti e gli elementi dell’opposizione: negli ultimi 4 mesi sono morte oltre 100 persone nelle proteste soffocate con estrema violenza. E la repressione non si limita alla piazza: domenica scorsa è stato arrestato uno dei 33 magistrati della corte suprema di giustizia, il professore di diritto anti-Maduro, Ángel Zerpa.

Il 30 luglio, infatti, i venezuelani sono chiamati alle urne per scegliere i 545 rappresentanti che riscriveranno la carta costituzionale. E secondo l’opposizione si tratta di “una truffa per instaurare la dittatura”.

Su questo, mi voglio soffermare un istante. Per capirci, quando Maduro ha convocato le elezioni per l’assemblea costituente ha precisato che non voleva un’assemblea “dei partiti di élite”, ma “una costituente cittadina, operaia, comunale, contadina”. E stando a Maduro, questo progetto rappresenterebbe l’ultima possibilità per un dialogo profondo nella società e la pace nel paese.

Che cosa vuol dire? Vuol dire che i venezuelani domenica eleggeranno 545 deputati. Di questi 364 saranno rappresentanti “territoriali” e 173 di quello che è denominato l’ “ambito sectorial”: 24 per gli studenti, 8 per i contadini e per i pescatori, 5 per gli imprenditori, 28 per i pensionati, 79 dei sindacati, ecc. Insomma, una specie di rappresentanza corporativa.

Delle oltre 50.000 persone che si sono presentate come candidati, per proprio conto o con il sostegno di gruppi di elettori, l’organismo elettorale ha approvato circa 6000 candidati. Ma le condizioni fissate hanno proibito le candidature dei partiti politici, uno stratagemma del governo per evitare che il voto potesse significare il rigetto della sua gestione. E la maggioranza dei candidati sono membri del partito di governo o dei suoi alleati o simpatizzanti del governo. Perfino numerosi ministri e figure pubbliche vicino al regime hanno rinunciato al loro incarico per candidarsi alla costituente e non c’è nessun candidato le cui proposte siano contrarie alle premesse del governo.

Senza contare che le circoscrizioni elettorali territoriali non tengono conto della popolazione, non sono disegnate in relazione agli abitanti. In questo modo, c’è una sproporzione a favore delle zone rurali dove il governo gode di un sostegno maggiore e di un potere più grande per fare pressioni sugli elettori. Così, per esempio, un voto nello stato del Falcòn, una provincia semi rurale del nord-est del Venezuela, vale 26 volte più di un voto espresso a Caracas, fortemente anti-chavista. Ed anche nel caso della rappresentanza “sectorial”, i criteri usati favoriscono tutti i gruppi apertamente a favore del governo.

Per questo l’opposizione non vuole partecipare al voto e legittimare un passaggio che rafforzerebbe il regime. E perfino l’ala critica del chavismo si è pronunciata, per la prima volta in pubblico, contro quello che considera un tentativo della cupola madurista di conservare il potere e addirittura uno stravolgimento della costituzione originale di Chavez.

Per questo, i risultati del voto di domenica saranno importanti. Una grande astensione dal voto o, comunque, un’affluenza inferiore ai 7 milioni e mezzo di partecipanti che l’opposizione sostiene di avere radunato nella sua consultazione popolare del 16 luglio scorso, rappresenterebbe un colpo per il governo e restaurerebbe la legittimità del Parlamento. Anche per questo il regime sta ricorrendo ad ogni mezzo per garantirsi un’ampia partecipazione degli elettori, compresa la pressione nei confronti dei dipendenti pubblici e dei beneficiari dei programmi di assistenza sociale.

E come ha scritto, su El País, Joaquin Villalobos, “è completamente falso che in Venezuela ci sia una lotta tra la sinistra rivoluzionaria e destra fascista. Il regime venezuelano si trova di fronte una coalizione di forze essenzialmente di centro che comprendono partiti, leader, organizzazioni sociali e intellettuali di sinistra che credono nella democrazia e nel mercato. Quel che è in gioco in Venezuela è il futuro del centrismo politico in America latina, perché in questa occasione le forze democratiche non sono compagne di viaggio degli estremisti, né di destra né di sinistra”. E la sconfitta dell’estremismo, conclude Villalobos, “aprirebbe la possibilità di conquistare una maggiore maturità democratica in tutto il continente”.

Anche per questo è bene accedere i riflettori su quel che accade in Venezuela. È un appello anche alla stampa. Che è qui con noi con il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, e con Paola Severino Melograni, che modera la discussione e alla quale cedo subito la parola per iniziare la discussione.

You may also like
Iginio, «eudaimonia» e il continente perduto – Il Riformista, 22 dicembre 2021
«Isolazionisti o poliziotti del mondo? Il pendolo su cui oscilla (da sempre) la politica estera degli Stati Uniti» – Linkiesta, 21 febbraio 2020
Quei «18 milioni di crepe» pronti a rompersi – l’Unità, 8 giugno 2016