Dal Regno Unito all’Italia, dalla Colombia all’Ungheria, negli ultimi tempi i referendum popolari hanno sconvolto il mondo. Ma quello turco di domenica prossima è davvero unico nel suo genere.
La democrazia turca, si sa è in rianimazione; e il 16 aprile i turchi sono chiamati a votare per decidere se rimpiazzare il sistema parlamentare con un sistema presidenziale.
Si tratta del più grande cambiamento (si votano18 emendamenti alla Costituzione) dalla fondazione della moderna repubblica quasi cento anni fa.
A spingere per il «Si» c’è il presidente Recep Tayyip Erdogan. Una vittoria del «Si» ridimensionerebbe il ruolo del Parlamento (al solito, «inefficiente», anche se l’AKP di Erdogan ha la maggioranza 2002), abolirebbe il ruolo del Primo Ministro trasferendone i poteri al presidente e aumenterebbe i poteri legislativi, giudiziari ed esecutivi della presidenza, dotando Tayyip Erdogan di un predominio senza precedenti sulla politica turca. Un sistema presidenziale non darebbe solo ad Erdogan l’autorità di nominare i giudici e ministri e controllare il bilancio, ma gli consentirebbe anche di rimanere in sella per altri due mandati (fino al 2029) e consoliderebbe la deriva della Turchia verso l’autoritarismo.
Giovedì scorso, due sondaggi hanno pronosticato che la maggioranza, sia pure risicata, dei turchi voterà «Si». Secondo l’istituto Konda, uno dei più prestigiosi istituti di sondaggi turchi, i «Si» raggiungerebbero il 51,5%, anche se l’istituto ha precisato che il margine di errore del sondaggio potrebbe essere del 2,4%. A ciò si aggiunge il voto dei turchi che vivono all’estero, che sembra abbiano votato in massa, una cosa che sondaggisti non possono controllare. Ma perfino la vittoria del «No», potrebbe non bastare per salvare la repubblica turca dal danno compiuto da Erdogan; e che vinca o che perda, Erdogan continuerà sicuramente a cercare di polarizzare i turchi in un’immaginaria battaglia per la loro sopravvivenza.