Su l’Unitá di sabato scorso Pietro Ichino – a seguito della replica (pubblicata sul quotidiano Il Piccolo il 13 ottobre) di uno dei sottoscrittori del documento dei 70 avvocati triestini per il NO al suo editoriale del 9 ottobre che aveva confutato punto per punto i loro argomenti – è tornato sulla questione “sfidando” i sostenitori del NO: “devono decidersi: o sostengono che la riforma complica le cose perché non chiarisce quali siano le leggi che dovranno essere approvate, oltre che dalla Camera dei Deputati, anche dal Senato, oppure sostengono che il nuovo articolo 70 della Costituzione, come modificato dalla riforma, è troppo dettagliato e che una norma costituzionale deve contenere solo principi generali e non regole minuziose. Se sono capaci di scriverlo in modo più semplice ed elegante, ma al contempo preciso, ci provino. Se non sono in grado di raccogliere la sfida, per favore abbandonino questo argomento”. Leggi il suo editoriale pubblicato sabato su l’Unità. Sul punto è tornato anche Roberto Bin, professore di diritto costituzionale all’università di Ferrara: Roberto Bin: “Un testo lungo ma solo così si semplifica” – Repubblica.it.
Segnalo anche l’intervista di Marco Ballico a Mauro Bussani, Professore Ordinario di Diritto Privato Comparato presso l’Università di Trieste, sul Piccolo di domenica che riporto, di seguito:
«Chi vota No è attaccato al passato e indifferente ai bisogni del Paese»
Il Piccolo, 16 ottobre 2016
Trieste – «I punti forti del No? Amare se stessi e lo specchio del proprio passato più che il futuro del Paese. Non mi pare argomento forte». Mauro Bussani, professore ordinario di Diritto Comparato dell’Università di Trieste, chiarisce in fretta la sua convinzione sul referendum costituzionale del 4 dicembre: si deve votare Sì, «i motivi sono molteplici».
Professore, teme che i cittadini possano votare “di pancia” anziché da persone informate?
Se intende un voto dettato da interessi minuti, rispettabili ma personali e indifferenti al futuro del Paese, sì è un timore che ho.
Come giudica l’iniziativa dei 70 avvocati del Foro schierati per il No?
Con lo stesso timore con cui giudico i voti che lei chiama “di pancia”. La fibra emotiva e culturale mi pare la stessa.
Partiamo dal quesito. È steso in modo corretto?
Nei referendum 2001 sulla modifica del titolo V e 2006 sulla modifica della seconda parte della Costituzione, era formulato in maniera analoga, con l’indicazione del solo titolo di legge.
Quali i punti di forza del Sì?
Il nucleo della riforma è la modifica di una parte della struttura orizzontale, il bicameralismo, e di una parte della struttura verticale dello Stato, il regionalismo. Storicamente e comparatisticamente il bicameralismo risponde a quattro diverse esigenze: rappresentare le classi diverse della società; rappresentare in una camera gli interessi economici e sociali e nell’altra gli interessi politici; svolgere quella funzione che Cassese e gli studiosi di ingegneria chiamano di ridondanza e che Washington definì “ritardatrice”; riflettere la divisione tra popolo unitariamente inteso e territori locali. Queste esigenze si sono lentamente esaurite nel tempo, tranne l’ultima, quella di dare voce più forte alle Regioni, offrendo loro un luogo in cui partecipare e controllare le decisioni legislative statali: che è quanto previsto dalla riforma.
Tra i maggiori dubbi interpretativi, l’elezione del Senato. Come valuta la questione e come crede che i neosenatori riusciranno a gestire anche gli impegni sul territorio?
Detto che un doppio impegno può sussistere anche per il Bundesrat tedesco e il Sénat francese, solo in 5 dei 13 Paesi Ue che hanno una seconda camera i membri del Senato sono eletti direttamente dai cittadini. Tra questi, in Italia, Polonia e Romania la seconda camera ha poteri legislativi rilevanti, ma l’Italia è l’unica con un sistema parlamentare in cui il Senato ha gli stessi poteri della Camera. Aggiungo che il Bundesrat tedesco è nominato dai governi del Laender e il Senato francese è eletto da una platea di circa 150.000 grandi elettori. Eppure entrambi hanno più poteri del Senato spagnolo che è eletto in gran parte direttamente dal popolo.
Che cosa risponde a chi parla di riforma centralista?
Questa riforma non aumenta i poteri del presidente del Consiglio, né riduce quelli del Quirinale. Al contrario: eleva la maggioranza necessaria per eleggere il Capo dello Stato e aumenta le garanzie dei diritti delle opposizioni. La riforma poi non stabilizza i governi. Evita solo che questi siano in balia di maggioranze asimmetriche nelle due Camere. E se nel 1948 il più rilevante produttore di norme era lo Stato, oggi non è più così. Occorre allora chiedersi se quella funzione di garanzia e di contrappeso che deriverebbe dal bicameralismo non sia oggi marginalizzata dai fatti e se questo superamento non imponga di spostare il livello della visuale e accorgersi di chi siano gli interlocutori cui opporre il nostro peso e presso cui cercare garanzie.
Cosa risponde a chi invece sostiene che la specialità regionale è a rischio? Lo ha rilevato anche il grande negoziatore del passato in Regione, Giovanni Bellarosa.
Ho un rispetto profondo per Bellarosa, che ho conosciuto negli anni di mia partecipazione alla Commissione Paritetica. È un uomo che stimo intensamente, e che parla da “grand commis” della Regione. Ma mi pare che la partita si giochi su un campo diverso, quello dell’assetto istituzionale dell’Italia. Il destino della Regione e di quegli accordi si combatte su altri tavoli, gli stessi su cui Giovanni ha conquistato le vittorie di cui gli siamo grati.
Come valuta il combinato disposto con la legge elettorale?
Lo valuterò con l’attenzione che merita quando e se vincerà il Sì. In vista di quella valutazione però, e fin da ora, ricordo che la Costituzione tedesca, di un anno più giovane della nostra, è stata modificata un numero di volte quasi quadruplo rispetto a quella italiana, e su punti più cruciali di quelli toccati dalle nostre fin qui 15 modifiche. E pure che la legge elettorale è una legge ordinaria, modificabile da qualunque altra legge.