Che nelle elezioni fosse in gioco anche la sua eredità, il presidente Obama l’ha detto in molte occasioni. «Il mio nome può non essere in gioco, ma lo sono i nostri progressi», ha ripetuto in questi mesi nei comizi a sostegno di Hillary Clinton, elencando i suoi risultati: estensione della copertura sanitaria, ripresa economica e i soldati in gran parte ormai al sicuro, lontano dai pericoli dell’Iraq e dell’Afghanistan. E anche la sua eredità ha perso martedì sera.
Ormai ci siamo: domani si vota. Le elezioni americane, si sa, sono uno dei più grandi spettacoli del mondo. Anzi, secondo Mario Sechi, «il più grande spettacolo del mondo».
«Che corsa, riavvolgiamo il nastro. La storia era un copione già scritto ma… I candidati dovevano essere Hillary Clinton e Jeb Bush, famiglie d’America. Dinasty. E invece, solo per un soffio non abbiamo avuto la coppia Sanders-Trump», ricorda oggi Sechi che poi aggiunge:«Beato è chi le ha seguite passo dopo passo. Hanno fatto passare Frank Underwood per un pivello, altro che House of Cards, la corsa alla Casa Bianca è stata la rappresentazione finale del denaro come insostituibile carburante della politica, della scorrettezza senza pensarci su troppo, del colpo basso, del potere che frusta il potere, una battaglia all’ultimo sangue che domani avrà il suo epilogo».
“Nessuno ha mai pensato che basti riformare la Costituzione per risolvere i nostri problemi, ma alle difficoltà del Paese non è estranea la debolezza delle nostre istituzioni”. Il senatore isontino del Pd e vicecapogruppo dei Democratici a palazzo Madama, Alessandro Maran, premette così il suo ragionamento a sostegno del “sì” al referendum costituzionale del 4 dicembre.
Si è molto parlato del ritorno al clima da guerra fredda tra USA e Russia. E manco a dirlo, una parte della politica italiana, quella antieuropea e antiamericana (la stessa – da Salvini a Berlusconi, da Grillo all’estrema destra – che, guarda caso, si batte per il NO al referendum) si è schierata con Putin. Ma un ritorno al bipolarismo della guerra fredda è impensabile. Perché? Perché il mondo tende al multipolarismo. E’ vero che ciascuno dei «poli» ha un peso molto diverso e che alcuni di questi, come appunto la Russia, pur non essendo al livello degli Usa dal punto di vista economico, hanno un’importanza militare (e nucleare) che può ostacolare la libertà di movimento degli altri, ma oggi il sistema internazionale – com’è stato costruito dopo la seconda guerra mondiale – è ormai irriconoscibile.