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Messaggero Veneto, 27 febbraio 2016 – «Se non deve valere per i gay via l’obbligo di fedeltà agli etero»

UDINE – Un ddl per eliminare l’obbligo della fedeltà del matrimonio. Per tagliare la testa al toro e non creare disparità tra coppie eterosessuali sposate e coppie gay che a differenza delle prime non hanno l’obbligo della fedeltà come imposto dall’Ncd. Il senatore del Pd, Alessandro Maran, è uno dei firmatari di questo ddl.

Perché secondo lei l’Ncd ha voluto si togliesse l’obbligo della fedeltà per le coppie gay?

«Perché troppo simile al matrimonio».

La sua opinione, invece?

«Non capisco altra ragione se non quella di segnare con uno stigma ideologico negativo il riconoscimento giuridico delle coppie gay».

Una distinzione, diciamo così, un po’ furba e un po’ bizzarra?

«Sì, perché le coppie gay secondo la nuova legge concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare, fissano la residenza comune e assumono l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione».

Il vostro ddl è dunque un provocazione?

«Diciamo che è anche una provocazione, una boutade come risposta a quello stigma ideologico voluto nella legge sulle coppie gay. Ma è anche una proposta assolutamente seria».

Partiamo da quella provocatoria

«Se si vuole abbandonare il retaggio di una visione ormai superata e vetusta del matrimonio, della famiglia e dei doveri e diritti dei coniugi, allora la legge deve valere per tutti. Da qui la contromossa del disegno di legge con il quale mandiamo anche a dire che qualcuno ha voluto prenderci in giro. E che noi non ci stiamo affatto. Da qui il ddl».

Di una riga soltanto…

«Si, la prima firma è proprio della senatrice Laura Cantini e di altri 11 senatori tra i quali Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice che, con il sottoscritto, avevano lavorato in questi mesi al testo sulle unioni civili. L’unica riga in questione è togliere dall’articolo 143 del Codice civile il riferimento all’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi».

Torniamo all’aspetto serio del ddl e al concetto di fedeltà.

«La mia opinione è che dovrebbe essere pacifico che l’obbligo alla fedeltà deve essere inteso anche e soprattutto come fiducia e rispetto dell’altro, un valore importante, ma non ascrivibile certamente tra i doveri da imporre con legge dello Stato. Senza contare…».

Senza contare?

«Fino a non molto tempo fa c’era distinzione tra figli legittimi e illegittimi che s’incastrava con il concetto di fedeltà. Ora quella distinzione è stata superata».

La legge che ha sancito questo superamento è la 219/12.

«L’articolo 143 del codice civile stabilendo l’obbligo fedeltà tra i coniugi si richiama soprattutto alla fedeltà sessuale della donna perché solo con obbligo a fedeltà sessuale della donna i figli nati nel matrimonio erano comunque figli legittimi. Era una norma di tutela dei figli. Con la legge del 2012 questa motivazione decade».

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Messaggero Veneto, 29 gennaio 2016 – IL CORAGGIO DI SUPERARE I PREGIUDIZI

Mentre in Italia la legge sulle unioni civili prosegue il suo iter, se ci guardiamo intorno, che cosa vediamo? Vediamo che il mondo occidentale è attraversato da un terremoto paragonabile, per intensità e conseguenze, al processo che nella prima metà del secolo scorso ha portato alla piena cittadinanza femminile. Oggi, in tutto l’Occidente, il riconoscimento pubblico del diritto degli omosessuali a vivere liberamente la loro sessualità e la loro relazione di coppia è all’ordine del giorno e, con esso, il riconoscimento della loro capacità di costituire un luogo di intimità, solidarietà, amore – in altre parole, una famiglia – che non esclude la presenza di bambini da crescere e da educare. In molti Paesi si è passati dalla legalizzazione delle unioni civili all’accesso egualitario al matrimonio. In Irlanda si è celebrato addirittura un referendum costituzionale. Per arrivare alla sentenza del giugno 2015 della Corte suprema americana che ha cambiato volto alla civiltà occidentale. Una sentenza che, oltretutto, ci dice che la visione umanistica cattolica non è l’unica visione possibile e che ci sono altre visioni umanistiche possibili altrettanto ricche e profonde, come quella che vede nella famiglia una realtà inestimabile e solida proprio perché è capace di cambiare e di aprirsi a esperienze vitali nuove. È questo che dà vigore e legittimazione al mutamento di opinione, ormai maggioritario e irresistibile in tutti i paesi occidentali, a favore delle unioni dello stesso sesso. Il matrimonio è cambiato – dai matrimoni combinati a oggi – col cambiare del ruolo e dello status della donna. E i cambiamenti hanno rafforzato e non indebolito l’istituzione familiare. Le decisioni che riguardano il matrimonio – a partire dalla decisione se e con chi sposarsi – sono tra le più intime e le più importanti che un individuo può prendere. E due persone insieme, come ha sottolineato la Corte suprema americana, possono trovare in quel legame, (comunque lo si chiami) altre libertà: l’espressione, l’intimità, la spiritualità. E questo è vero per tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Su questo sfondo, la situazione italiana appare ormai decisamente anomala. Mentre si allarga sempre più il fronte dei paesi che riconoscono il matrimonio, l’Italia non ha ancora neppure una regolamentazione delle unioni. Non nego che una gradualità in trasformazioni così importanti sia necessaria. Rispetto alla situazione internazionale il Ddl Cirinnà è, infatti, una soluzione di compromesso indubbiamente “moderata” rispetto alle leggi degli altri Paesi. La stessa stepchild adoption è già una soluzione di compromesso rispetto all’accesso pieno all’adozione. Si vuole ribadire il divieto alla maternità surrogata? Si vogliono mettere dei paletti? D’accordo. Ma l’adozione del figlio del partner da parte dell’altro è una norma di buon senso che mira a garantire a bambini che vivono nella coppia la continuità affettiva. L’argomento che sarebbe un incoraggiamento alla maternità surrogata è pretestuoso: per quanto si possa essere contrari alla maternità surrogata, porre il peso di questa riprovazione sulla legge per le unioni civili è del tutto insensato. Oltretutto, si vuol davvero scoraggiare la maternità surrogata? È davvero questo che si vuole? Allora dovremmo prevedere la possibilità della piena adozione anche per la coppie omosessuali. Se invece si dice che il bambino deve avere una mamma e un papà, allora il problema è un altro. Allora non è in discussione la maternità surrogata ma la genitorialità di gay e lesbiche. E quel che si rifiuta è la possibilità stessa che le coppie omosessuali possano essere buoni genitori. Questa resistenza è probabilmente l’indice che misura più fedelmente le idee, gli stereotipi e i pregiudizi che abbiamo in merito all’omosessualità. Dico pregiudizi perché sono ormai reperibili le ricerche scientifiche su come funzionano i genitori omosessuali sulla base delle esperienze in nord Europa e in America. E gli studi disponibili ci dicono che funzionano come tutti gli altri. Dico pregiudizi perché nel momento in cui riconosco che l’omosessualità non è una patologia – se riconosciamo che non è una malattia, se non consideriamo più immorale l’intimità tra due persone dello stesso sesso e se questa convinzione non è più, come in passato, incarnata dalla legge penale -, allora devo ammettere all’interno della mia cultura una variante di sistema familiare che non è la mia, che non è quella in cui sono cresciuto. E lo Stato deve accordare rispetto ad interessi della persona cosi fondamentali. D’altronde, pensare di arginare la forte spinta al riconoscimento delle coppie omosessuali è un’illusione. L’Italia non è un luogo chiuso e separato e vive necessariamente le stesse dinamiche e le stesse trasformazioni degli altri paesi occidentali. Ed è vano pensare di ignorarle.

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Il Piccolo, 26 gennaio 2016 – Non è così semplice cambiare la geografia giudiziaria

L’INTERVENTO
L’avvocato Gaggioli, nel suo più recente intervento, finge di ignorare che, nello Stato democratico, il “legislatore” si identifica con un organo legislativo collettivo e che Parlamento italiano è un organo complesso, costituito da due organi collegiali di tipo assembleare, le Camere. Finge di ignorare che il Parlamento è un organo rappresentativo del popolo. I voti dei cittadini valgono tutti allo stesso modo e, dunque, i seggi sono ripartiti in proporzione alla popolazione. Finge di ignorare che il Parlamento ha delegato, con propria legge, il Governo a rivedere la geografia giudiziaria e che il Governo ha rinunciato a estendere a Palmanova il circondario del tribunale di Gorizia. Anche per le pressioni esercitate dal territorio attraverso i suoi rappresentanti, certo. Si chiama democrazia e, in democrazia, prevale la volontà espressa dai più. Finge di ignorare che il principio del giudice naturale (la garanzia che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi) non ha niente a che vedere (ma proprio niente) con la revisione della geografia giudiziaria. Il presidente dell’Ordine, in soldoni, si limita a dire: la soluzione è questa (e solo questa) e tocca a te ottenere questo risultato. Messe così le cose, la discussione potrebbe finire qui: i numeri per fare come vogliamo, infischiandocene delle preferenze degli altri (nella Bassa Friulana hanno finora contrastato questa ipotesi), non ci sono. Dobbiamo convincere gli altri delle nostre buone ragioni, che non appaiono a tutti come verità rivelate e indiscutibili. Basterebbe chiedersi: se la soluzione è così pacifica perché il Governo non l’ha confermata? Poteva farlo: aveva la delega del Parlamento, che io, ovviamente, non ho. Che vuol dire “abbia lei la forza che ha avuto il legislatore regionale”? Che da solo posso disporre dei poteri di un organo collegiale? Ma mi faccia il piacere!, direbbe Totò. Capisco che l’avvocato Gaggioli rimanga attaccato all’idea di incorporare Palmanova, ma come si fa a non vedere che, intanto, il “servizio giustizia” è pressoché bloccato e i costi socio-economici per la gente sono enormi? Per questa ragione ho proposto di prendere in considerazione anche l’ipotesi di unirci a Trieste. Prendo atto che l’avvocato Gaggioli non la condivide, ma ritengo che quello di attendere che si materializzi l’idea a cui il presidente dell’Ordine è affezionato (se poi tarda a realizzarsi, si sa, la colpa è del “legislatore”), non sia una granché come rimedio. Sui piccoli tribunali, del resto, giovedì al Senato, proprio il Ministro Orlando ha invitato a “non cavalcare la demagogia del piccolo e bello e della prossimità” ricordando che “se i tribunali sono piccoli non c’è specializzazione (…) Se non ci sono una magistratura inquirente specializzata ed una magistratura giudicante specializzata, per alcuni reati (soprattutto quelli che hanno un impatto più forte sull’economia) gli strumenti giuridici possono essere male utilizzati. Ciò ha però come presupposto il fatto che ci siano i numeri per introdurre la specializzazione. Infatti, è del tutto evidente che una Procura con due o tre magistrati non si può specializzare in nulla e che un tribunale che deve giudicare su tutto non può articolarsi al suo interno per rispondere alle diverse articolazioni della domanda di giustizia”. Ovviamente, non ho nessuna difficoltà a discuterne pubblicamente. Ma continuare lo scambio di vedute tra di noi non porterebbe molto lontano. Se vogliamo fare sul serio, se all’avvocato Gaggioli interessa trovare una soluzione e non unicamente mettersi in mostra, lo dobbiamo fare con il sindaco di Palmanova (e magari i sindaci della Bassa Friulana) e il presidente dell’Ordine degli avvocati Udine. L’avvocato Gaggioli non deve persuadere me della bontà della soluzione che propugna; sono pronto a sostenerla ancora. Sono loro che devono essere persuasi. Altrimenti i numeri per realizzarle quel progetto non ci saranno mai. Avremo, naturalmente, di che lamentarci. Ma sarebbe ipocrita: il rischio di finire in un vicolo cieco è a tutti evidente.
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Il Piccolo, 19 gennaio 2016 – Tribunale, con Trieste per non chiudere

Torno sull’argomento solo per meglio chiarire le ragioni dell’ipotesi che ho invitato a prendere in considerazione. Poi mi taccio. Su una cosa, a quanto pare, siamo tutti d’accordo: così com’è combinato, il Tribunale non può funzionare. Specie se si prende atto che le indennità suppletive non garantiscono i trasferimenti dei magistrati. So bene che il perimetro che in molti continuano ad immaginare è quello che estende il circondario del tribunale di Gorizia alla Bassa friulana. Ma il punto è che quell’ipotesi, che tutti (solo a Gorizia, sia chiaro) hanno sostenuto, non si è realizzata.
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Il Foglio, 12 gennaio 2016 – La svolta buona che ora serve al governo (e all’Italia). Appello a Renzi

Salari legati alla produttività, spesa pubblica da rivoluzionare, giustizia civile e penale, concorrenza, merito nelle università. Come non sprecare il 2016. Il Foglio anticipa la lettera aperta al premier di un gruppo renziano di parlamentari Pd

di Claudio Cerasa

Il Foglio ha intercettato una lettera aperta inviata al presidente del Consiglio Matteo Renzi da un gruppo di parlamentari del Pd di fede renziana. La lettera è in realtà un appello formulato in cinque punti da otto importanti parlamentari del Partito democratico che provano a mettere fuoco quali dovranno essere le priorità che il capo del governo non deve ignorare per non sprecare il 2016 ed evitare così, aggiungiamo noi, che la politica del consenso rapido prevalga sulla politiche delle riforme future. Il 2016, come si sa, è un anno delicato, forse decisivo, in cui Renzi ha scelto di giocarsi tutto a ottobre, trasformando il referendum sulle riforme costituzionali in un plebiscito legato più a una valutazione generale sul renzismo che al semplice superamento del bicameralismo perfetto (ieri il ddl Boschi è passato alla Camera, approvato con 367 sì, 194 no e 5 astenuti, il 20 gennaio tornerà al Senato, ad aprile sarà per l’ultima volta alla Camera, a ottobre ci sarà il referendum confermativo).

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Il Piccolo, 12 gennaio 2016 – Tribunale ingestibile? Uniamoci a Trieste

La proposta del senatore Maran: «Non mi manda il Pd, dobbiamo solo pensare a un servizio che funzioni meglio»

di Francesco Fain

La strategia per salvare e potenziare il Tribunale di Gorizia? Unirsi a Trieste e mettere insieme due dei Palazzi di giustizia più piccoli d’Italia. «È una bestemmia? Il servizio giustizia (e dunque gli interessi della gente) ne guadagnerebbe». A formulare la proposta-choc è il senatore Alessandro Maran al culmine di un lungo e articolato ragionamento. È consapevole che «si leveranno lamenti e grida per la spoliazione ulteriore del capoluogo. Ma cosa vogliamo? Vogliamo mantenere il simulacro di un servizio che non funziona (e che così non può funzionare), o vogliamo fare in modo che il servizio giustizia funzioni meglio?» Maran specifica la sua è solo un’opinione personale. «Anche perché – aggiunge – sul punto la posizione del Pd (e delle altre forze politiche) varia a seconda del territorio interessato».
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Messaggero Veneto, 9 gennaio 2016 – UTERO IN AFFITTO, LA PRATICA RESTA VIETATA

Dal 26 gennaio riprenderà al Senato l’esame del ddl sulle unioni civili. La normativa prevista dal ddl Cirinnà riprende pedissequamente la proposta del “modello tedesco”: unioni civili con stepchild adoption (lanciata d’altronde alla Leopolda del 2012 e contenuta nella mozione uscita larga vincitrice dal congresso del Pd del 2013). In questi giorni, in vista della ripresa del dibattito in Aula, non si fa che parlare ossessivamente di maternità surrogata, accostando la proposta di legge Cirinnà sulle unioni tra persone dello stesso sesso al cosiddetto “utero in affitto”.

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LIBERTÀeguale Magazine, 7 gennaio 2016 – Usa: la politica estera che ha cuore l’ordine liberale

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Interveniamo in difesa della politica estera del presidente Obama. Si fa un gran parlare, specie dopo gli attentati di Parigi, del «vuoto geopolitico lasciato dall’America di Obama». E buona parte della delusione e dell’insofferenza nei confronti della politica estera di Barack Obama trae origine dall’assunto che, per dirla con il titolo del celebre articolo di Robert Kagan, «Superpowers don’t get to retire». Da qui l’insistenza sul presunto carattere «indecifrabile» della «astrategia obamiana». Eppure, non c’è nulla di incomprensibile, se si prende sul serio il punto di vista dell’amministrazione americana.

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Formiche.net, 4 gennaio 2016 – Che cosa accomuna l’Isis al comunismo

L’esercito iracheno ha riconquistato Ramadi. È una delle migliori notizie con cui abbiamo chiuso l’anno. Ma diciamoci la verità: per sbaragliare lo Stato Islamico servirebbe una massiccia invasione di terra e i risultati sarebbero, ben che vada, temporanei. Come ha evidenziato Barry Posen, direttore del MIT Security Studies Program, in un saggio recente, «i tentativi americani di riformare la politica di altri Paesi con la spada si sono infranti contro l’ostilità sciovinistica verso gli stranieri, alleanze locali inaffidabili, pratiche culturali profondamente radicate e la rozzezza dello strumento militare». E proprio questi «persistenti problemi» consigliano una strategia più limitata di «contenimento» che «richiede pazienza e resilienza e non promette una rapida e facile vittoria». L’Isis é riapparso, infatti, dopo che era stato già battuto durante il «surge» delle forze Usa in Iraq nel 2007. Poiché fino a quando i sunniti continueranno a sentirsi minacciati, le organizzazioni jihadiste si offriranno di «proteggerli».

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