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Messaggero Veneto, 29 gennaio 2016 – IL CORAGGIO DI SUPERARE I PREGIUDIZI

Mentre in Italia la legge sulle unioni civili prosegue il suo iter, se ci guardiamo intorno, che cosa vediamo? Vediamo che il mondo occidentale è attraversato da un terremoto paragonabile, per intensità e conseguenze, al processo che nella prima metà del secolo scorso ha portato alla piena cittadinanza femminile. Oggi, in tutto l’Occidente, il riconoscimento pubblico del diritto degli omosessuali a vivere liberamente la loro sessualità e la loro relazione di coppia è all’ordine del giorno e, con esso, il riconoscimento della loro capacità di costituire un luogo di intimità, solidarietà, amore – in altre parole, una famiglia – che non esclude la presenza di bambini da crescere e da educare. In molti Paesi si è passati dalla legalizzazione delle unioni civili all’accesso egualitario al matrimonio. In Irlanda si è celebrato addirittura un referendum costituzionale. Per arrivare alla sentenza del giugno 2015 della Corte suprema americana che ha cambiato volto alla civiltà occidentale. Una sentenza che, oltretutto, ci dice che la visione umanistica cattolica non è l’unica visione possibile e che ci sono altre visioni umanistiche possibili altrettanto ricche e profonde, come quella che vede nella famiglia una realtà inestimabile e solida proprio perché è capace di cambiare e di aprirsi a esperienze vitali nuove. È questo che dà vigore e legittimazione al mutamento di opinione, ormai maggioritario e irresistibile in tutti i paesi occidentali, a favore delle unioni dello stesso sesso. Il matrimonio è cambiato – dai matrimoni combinati a oggi – col cambiare del ruolo e dello status della donna. E i cambiamenti hanno rafforzato e non indebolito l’istituzione familiare. Le decisioni che riguardano il matrimonio – a partire dalla decisione se e con chi sposarsi – sono tra le più intime e le più importanti che un individuo può prendere. E due persone insieme, come ha sottolineato la Corte suprema americana, possono trovare in quel legame, (comunque lo si chiami) altre libertà: l’espressione, l’intimità, la spiritualità. E questo è vero per tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Su questo sfondo, la situazione italiana appare ormai decisamente anomala. Mentre si allarga sempre più il fronte dei paesi che riconoscono il matrimonio, l’Italia non ha ancora neppure una regolamentazione delle unioni. Non nego che una gradualità in trasformazioni così importanti sia necessaria. Rispetto alla situazione internazionale il Ddl Cirinnà è, infatti, una soluzione di compromesso indubbiamente “moderata” rispetto alle leggi degli altri Paesi. La stessa stepchild adoption è già una soluzione di compromesso rispetto all’accesso pieno all’adozione. Si vuole ribadire il divieto alla maternità surrogata? Si vogliono mettere dei paletti? D’accordo. Ma l’adozione del figlio del partner da parte dell’altro è una norma di buon senso che mira a garantire a bambini che vivono nella coppia la continuità affettiva. L’argomento che sarebbe un incoraggiamento alla maternità surrogata è pretestuoso: per quanto si possa essere contrari alla maternità surrogata, porre il peso di questa riprovazione sulla legge per le unioni civili è del tutto insensato. Oltretutto, si vuol davvero scoraggiare la maternità surrogata? È davvero questo che si vuole? Allora dovremmo prevedere la possibilità della piena adozione anche per la coppie omosessuali. Se invece si dice che il bambino deve avere una mamma e un papà, allora il problema è un altro. Allora non è in discussione la maternità surrogata ma la genitorialità di gay e lesbiche. E quel che si rifiuta è la possibilità stessa che le coppie omosessuali possano essere buoni genitori. Questa resistenza è probabilmente l’indice che misura più fedelmente le idee, gli stereotipi e i pregiudizi che abbiamo in merito all’omosessualità. Dico pregiudizi perché sono ormai reperibili le ricerche scientifiche su come funzionano i genitori omosessuali sulla base delle esperienze in nord Europa e in America. E gli studi disponibili ci dicono che funzionano come tutti gli altri. Dico pregiudizi perché nel momento in cui riconosco che l’omosessualità non è una patologia – se riconosciamo che non è una malattia, se non consideriamo più immorale l’intimità tra due persone dello stesso sesso e se questa convinzione non è più, come in passato, incarnata dalla legge penale -, allora devo ammettere all’interno della mia cultura una variante di sistema familiare che non è la mia, che non è quella in cui sono cresciuto. E lo Stato deve accordare rispetto ad interessi della persona cosi fondamentali. D’altronde, pensare di arginare la forte spinta al riconoscimento delle coppie omosessuali è un’illusione. L’Italia non è un luogo chiuso e separato e vive necessariamente le stesse dinamiche e le stesse trasformazioni degli altri paesi occidentali. Ed è vano pensare di ignorarle.

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