Category : GIORNALI2007

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Il Piccolo, venerdì 27 luglio 2007 – Maran: friulano, pronti al referendum

Circa l’utilizzo del friulano come lingua veicolare per studiare le altre materie, l’idea di fondo è quella di creare una «identità nazionale» artificiale che si fonda sulla specifica diversità linguistica. Si tratta in altre parole, come ha sostenuto Sergio Cecotti nel dibattito in seno alla Convenzione per la stesura del nuovo statuto di autonomia, di riconoscere un «piccolo Stato» nel quale «una comunità compatta parla una lingua localmente maggioritaria».

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Il Piccolo, lunedì 30 luglio 2007 – Maran: «Zvech alla guida del Pd»

Mi auguro che ci sia un’aperta competizione di idee, di proposte e di visione per la guida del nuovo partito e, in prospettiva, della Regione. Il mio candidato preferito è Bruno Zvech. Quanto alla candidatura nazionale, a me piace anche Enrico Letta. Ma Veltroni rappresenta il prototipo del politico democratico che sin dall’origine ha fuso in sé vari linguaggi e varie culture e che si muove a 360 gradi su tutte le issues più rilevanti.

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Il Piccolo, 20 agosto 2007 – Friulano, Cecotti sbaglia

Per Sergio Cecotti le istituzioni politiche sono strumenti per dare identità e vita a un gruppo inteso come qualcosa che viene prima degli individui e prima delle loro effettive preferenze e identità. Egli ritiene che le istituzioni devono tutelare i diritti “oggettivi” degli individui, “oggettivi” perché tali a lui risultano. Io intendo le istituzioni come strumenti per aumentare le libertà di scelta degli individui e delle loro preferenze per come sono da loro percepite.

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Il Piccolo, 21 ottobre 2007 – Maran: «Avrei preferito Illy dentro il Pd»

Il Pd nasce per superare l’idea che quel che conta è battere l’avversario – mettendo in campo la coalizione più ampia possibile a prescindere dalla sua coerenza interna – e per affermare un’idea diversa: quel che conta è governare bene. Si tratta di restituire moralità alla politica. E molte cose sono destinate a cambiare.

Intervista22.10.07.doc

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Messaggero Veneto, 10 dicembre 2007 – Maran: ridimensionare la revisione dello statuto

Il buon esito dell’iniziativa è affidato ad un ridimensionamento della proposta in discussione: si tratta di passare da una pretesa di “rifondazione” all’adeguamento dello Statuto alla riforma del Titolo V del 2001.

Ridimensionare la proposta di revisione di Statuto, passando da una pretesa di rifondazione all’adeguamento dello Statuto alla riforma del Titolo V del 2001. Da questo, per Alessandro Maran, deputato ulivista alla Camera, dipende essenzialmente il buon esito dell’iniziativa. Ieri il deputato del Pd ha lanciato un appello in vista dell’incontro di mercoledí tra la delegazione dei capigruppo regionali e il presidente della commissione Affari costituzionali Violante. Un modo per uscire dall’impasse. Ieri Maran ha voluto precisare alcuni aspetti del dibattito. Che in più passaggi – ha detto commentando le cronache – ha registrato affermazioni uscite completamente a sproposito. Preliminare – dice – è un chiarimento di tipo culturale. Sulla discussione in corso in commissione vale la pena di sottolineare tre cose – premette il parlamentare – che chi si fosse preso la briga di leggere il resoconto del dibattito avrà potuto constatare. Si parte dalla questione specialità, che non è in discussione. In discussione – precisa – è la pretesa di ‘rifondare” la specialità a partire dalla tesi, infondata, che la specialità della Regione risiede nell’essere terra di tre minoranze: la friulana, la slovena, la tedesca. Rispetto all’autonomia, non sono in discussione le forme particolari di autonomia della Regione. È in discussione una pretesa di ‘sovranità”. Lo Statuto – spiega – non è un atto ‘identitario’ della comunità e dell’Assemblea regionale che il Parlamento nazionale può solo approvare. L’approvazione dello Statuto è atto non della Regione ma dello Stato nei modi e nelle forme dell’art. 116 della Costituzione. E di ‘rifondazioni dal basso” – aggiunge – non ha proprio senso parlare, poiché la regione deriva la sua autonomia da una legge dello Stato e non da originari poteri di ‘autodeterminazione”. Altro tema, la composizione plurilinguistica della Regione, che non è in discussione. E non c’è alcuna smania di omogeneità – sottolinea – nessuna mira di comprimere le diversità. Quel che è in discussione, invece, è una particolare cultura in base alla quale la titolarità delle istituzioni non spetterebbe ai cittadini, a prescindere dalle loro appartenenze, ma a una o più comunità etno-culturali. Col rischio che le istituzioni cambino segno e da presidio dei diritti individuali divengano presidio di una particolare interpretazione dei diritti collettivi. Alla fine, ragiona Maran, i punti di discussione non sono molti, a dispetto della mole di emendamenti (circa 300) che gravano sul testo. A ogni modo, oggi la palla è al centro in Parlamento: Il Consiglio ha fatto il suo lavoro – dice Maran – ora saranno i parlamentari ad andare avanti. Bene fa Violante a relazionarsi con il Consiglio – aggiunge – poi come relatore di maggioranza andrà avanti. In un clima non favorevole alle specialità. Ricordo – evidenzia il parlamentare – che certe posizioni non faranno altro che aumentare la tensioni in regioni come il Veneto o la Lombardia, che considerano le regioni speciali come privilegiate. Dopo l’incontro con Violante è facile che la discussione riprenda in commissione a gennaio, con il voto degli emendamenti.

 

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Il Piccolo, 13 dicembre 2007 – Maran: «La minoranza friulana è un’invenzione»

La pretesa di «rifondare» l’identità regionale (sostenendo che il Friuli Venezia Giulia è la casa comune di tre minoranze, non importa se inventate come quella friulana o tedesca (in Friuli), o vere come quella slovena) è un errore. Conviene piuttosto adeguare lo Statuto alla riforma del Titolo V del 2001.

Maran: la minoranza friulana è un’invenzione

di Roberta Giani

TRIESTE «L’errore principale? La pretesa di rifondare l’identità regionale sostenendo che il Friuli Venezia Giulia è la casa comune di tre minoranze, non importa se inventate come quella friulana o tedesca (in Friuli), o vere come quella slovena». Alessandro Maran non fa sconti sul nuovo statuto d’autonomia, proposto dal Consiglio regionale, e spiega il perché. Al contempo, nelle ore in cui Alessandro Tesini tenta una difesa a Roma, avverte che le chance attuali di ottenere un sì del Parlamento sono davvero poche.
Forti critiche trasversali, quasi 300 emendamenti, e siamo «solo» al primo passaggio: che possibilità ha il nuovo statuto di essere approvato in Parlamento?
Con l’aria che tira al Senato, non molte. Ma il dibattito in corso alla Camera è utile e non deve stupire. Lo statuto non è un atto «identitario» della comunità e dell’Assemblea regionale che il Parlamento nazionale può solo «approvare». L’approvazione dello statuto è un atto dello Stato (e non della Regione) nelle forme stabilite dalla Costituzione.
C’è il rischio che il Parlamento addirittura riduca anziché aumentare la specialità?
La specialità non è in discussione. È in discussione la pretesa di rifondarla.
Lei, come Marco Boato e altri, suggerisce di passare dalla riscrittura dello statuto al suo adeguamento: Alessandro Tesini, adesso, si dice pronto a una «subordinata». Passo avanti? Basta?
È la strada giusta. La specialità c’è. Discutiamo di quel che ci serve.
Lei accusa la Regione di voler autodeterminare la sua specialità, facendola discendere dalle tre minoranze presenti, sul modello Alto-Adige. E denuncia il rischio che lo statuto riconosca la nazione del Friuli. Non teme di esagerare?
Non è un mistero che per rifondare l’identità regionale si sia fatto ricorso alla tesi che il Friuli Venezia Giulia è la casa di tre minoranze, non importa se inventate come quella friulana o tedesca (in Friuli) o vere come quella slovena. E ora c’è chi propone con un emendamento di «costituzionalizzare» l’Assemblea delle province friulane, la cui ragion d’essere sta proprio nel tracciare e irrigidire il confine tra il dentro di quel territorio e il fuori. Esagero?
Potere estero, uno dei nodi più forti. Perché, in un emendamento, riscrive l’articolo sulle attività istituzionali approvato in Regione?
L’ipotesi di pariordinare i ruoli di Stato e Regione fino a prefigurare una sorta di articolazione della sovranità è stata esclusa dalla Corte costituzionale: lo Stato è sovrano e la Regione gode di autonomia; perciò non vi può essere «posizione paritaria». Inoltre, il governo si è espresso nel senso che le norme sul potere estero sono lesive del potere dello Stato. Da qui un’ipotesi di riscrittura.
Perché nega «posizione paritaria» e «rango di ministro» al presidente della Regione?
La norma che prevede che il presidente della Regione interviene alle sedute del consiglio dei ministri «con rango di ministro» romperebbe l’unità e l’omogeneità del governo e creerebbe problemi perché il presidente non sarebbe responsabile nei confronti del Parlamento, come accade per i ministri.
Autonomie locali, altro nodo del contendere. Che c’è di sbagliato nella proposta regionale?
L’autonomia di Comuni e Province non dipende dallo Statuto ma dalla Costituzione, perciò una disposizione aggiuntiva è da considerarsi ripetitiva se non invasiva della competenza statale.
Perché impedire alla Regione di modificare «gli elementi rilevanti ai fini della determinazione dell’imposizione fiscale e tributaria»? È contrario al federalismo fiscale?
Tutt’altro. Ma una scelta di questo tipo mette in discussione il potere del Parlamento di definire finanza statale e regionale e rapporti tra queste due.
Molti suoi emendamenti correggono la questione plurilinguismo. Ma che c’è di grave, ad esempio, nello redarre lo statuto in quattro lingue?
Vediamo di capirci. La specialità della Regione non dipende dal suo plurilinguismo. Da tempo il professor Sergio Bartole ha prospettato una più fondata lettura delle ragioni dell’adozione dello statuto sottolineando «come l’origine della specialità vada ricercata in una singolare corresponsabilità della Regione nella gestione dell’economia». Cioè la Regione nasce speciale perché ci sono speciali esigenze di riequilibrio economico del territorio regionale. Detto questo, plurilinguismo e diversità non sono in discussione.
Cos’è in discussione, allora?
Una cultura in base alla quale la titolarità delle istituzioni non spetterebbe ai cittadini, a prescindere dalle loro appartenenze, ma a una o più comunità etnoculturali. Con il rischio che le istituzioni, da presidio dei diritti individuali, divengano presidio di una particolare interpretazione dei diritti collettivi. Con i miei emendamenti mi limito a prevedere che «la Regione garantisce e tutela i diritti delle persone appartenenti alla minoranza linguistica» e tutela il patrimonio storico-culturale delle lingue locali «nel rispetto della legge dello Stato e dei diritti dei singoli».
Lei è un parlamentare goriziano del Pd. Non è un po’ singolare che, anziché difendere la proposta statutaria della sua Regione (e della sua maggioranza), la contrasti? Non era meglio mettervi d’accordo in casa prima di dividervi a Roma?
Per prima cosa, una delle componenti del pensiero federalista è sempre stata la ricerca di ampi spazi di autonomia e libertà per i cittadini attraverso forme di contenimento e distribuzione articolata del potere politico. In uno Stato moderno non ci sono enti investiti di funzioni «provvidenziali» da cui soltanto vengono fatti dipendere gli sviluppi delle comunità interessate.
E poi?
I parlamentari non rappresentano la Regione o la sua maggioranza, ma l’elettorato regionale. Specie quando sono in ballo diritti di cittadinanza e non la composizione del cda di Friulia. Aggiungo che il Pd ha fatto della possibilità e della responsabilità della scelta il suo elemento fondativo. E non c’è dubbio che sarebbe stato meglio discutere dello statuto anche alla luce di questi principi. Ma nessuno ha mai chiesto la nostra opinione…
Qual è l’errore principale che imputa alla Regione?
La pretesa di rifondare l’identità regionale. Ma, per dirla con i versi di Leonardo Zanier «…l’identitât ce êse? (…) s’ifos su Marte mi sintares cjericul, e co soi in Africa mi sint european, co soi in Portugal talian, co soi a Roma furlan, co soi a Udin cjargnel, co a Tumieç comeljanot, e a Comeglians maranzanot…».

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