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Europa, 11 febbraio 2011 – Non facciamo come in Olanda

Come ha scritto malignamente Max Gallo, l’Italia «è la metafora d’Europa», la società in cui tutto si manifesta in modo caricaturale ed eccessivo; dove le malattie latenti, che negli altri paesi moderni sono solo in incubazione, si presentano in modo evidente ed esplodono. Perfino le grottesche vicende italiane sono però un capitolo della storia europea di questi anni.
Basta guardare all’Olanda, uno dei paesi più civili del mondo. L’Olanda ha avuto un sistema politico stabile per tutto il dopoguerra ma, dalla «Rivolta dei cittadini» di Pim Fortuyn del 2002, è divenuta preda della frammentazione politica e dell’instabilità. Grazie al sistema elettorale proporzionale (lo sbarramento è dello 0,7%), la politica olandese funziona come un sismografo che registra puntualmente i mutamenti d’umore (postideologici) nelle democrazie mature.
E, infatti, gli spostamenti che rileva il sismografo olandese sono fin troppo familiari. A destra, ci si imbatte nel «populismo di governo », come lo chiama Rene Cuperus, vice direttore del think tank del partito laburista olandese. A sinistra, c’è lo spettacolo deprimente della frammentazione e della battaglia culturale tra «socialconservatori » e «social-progressisti».
Dopo le elezioni, i liberalconservatori del Vvd (Partito popolare per la libertà e la democrazia) e i cristiano-democratici del Cda (Appello cristiano democratico) hanno raggiunto un’intesa con l’appoggio esterno del Partito per la libertà, xenofobo e anti-islamico, di Geert Wilders (Pvv) per formare un governo di minoranza. Il Pvv si limita infatti a «tollerare» la coalizione. «Il collante di questa peculiare alleanza – osserva Rene Cuperus – è l’avversione verso la sinistra. L’ostilità verso la sinistra cosmopolita, elitaria, (multi)culturale. Il rigetto del modo in cui la sinistra affronta l’immigrazione, l’integrazione e le questioni connesse alla sicurezza.
I populisti governativi presentano il loro esecutivo come un governo di buonsenso. In termini di visione del mondo, lo si potrebbe descrivere come un governo dei tabloid – un governo per e della gente comune, che rappresenta una reazione alla rivoluzione culturale degli anni ’60 e ’70 dell’establishment progressista. La vendetta è nell’aria. E il populismo governativo è la sua faccia». Nel sistema multi-partito olandese la sinistra è polarizzata e frammentata.
E invece di un grande partito laburista c’è una costellazione di partiti: la «vecchia sinistra» populista del Partito socialista (Sp) che mantiene robusti legami con i sindacati; la «nuova sinistra» dei Democratici 66 (D66), un partito riformista liberal-socialista; i Verdi di sinistra (Gl), un partito ambientalista e di sinistra; il Partito per gli animali (Pvdd), animalista e ambientalista; e, infine, il Partito laburista (Pvda), socialdemocratico, che cerca di fare da «ombrello» per l’intera famiglia progressista.
All’origine dello sconquasso c’è il Partito della libertà di Geert Wilders, un partito populista che rappresenta una curiosa combinazione di islamofobia e di sciovinismo del welfare state, che sta causando l’esodo (lento ma continuo) della base operaia di sinistra. Ovviamente, la frammentazione e la polarizzazione sono causate da nuove fratture che nelle società affluenti si aprono lungo linee politico-culturali. E di fonte alle tendenze di un mondo nuovo, è proprio il contrasto tra una visione cosmopolita e un approccio nazional- comunitario-populista all’origine di questa rivolta paneuropea dello scontento, che prende le mosse dall’ansia generata dalla globalizzazione e dal trauma dell’immigrazione.
Questa nuovo dissidio attraversa proprio l’insediamento della sinistra e produce un sorta di «guerra culturale» tra gli intellettuali, i professionisti (in Italia, diremmo la sinistra di Repubblica) e la gente comune, la classe medio-bassa che guarda la tv e si sente tradita da una sinistra che è diventata establishment. Così, invece di costruire un progetto alternativo di governo, la sinistra (anche) in Olanda sembra alle prese con la guerra civile tra le persone più istruite e quelle meno istruite. E c’è chi evoca lo spettro della Repubblica di Weimar.
Ma il senso, la stessa ragion d’essere dell’alleanza riformista, in Olanda come in Italia, non può essere che «l’alleanza tra il merito e il bisogno». «Le donne e gli uomini di merito, di talento, di capacità, sono le persone – sosteneva Claudio Martelli nel lontano 1982 a Rimini – utili a sé e utili agli altri. Coloro che progrediscono e fanno progredire un insieme o un’intera società con il loro lavoro, con la loro immaginazione, con la loro creatività, con il produrre più conoscenze: sono coloro che possono agire. Le donne e gli uomini immersi nel bisogno sono le persone che non sono poste in grado di essere utili a sé e agli altri, coloro che sono emarginati o dal lavoro o dalla conoscenza o dagli affetti o dalla salute: sono coloro che devono agire».
Vale la pena ricordarlo. Dato che i quieti equilibri del passato non si possono ricreare e il mestiere dell’opposizione (più ancora di fare la voce grossa e convocare piazze indignate) è ovunque quello di costruire (con le necessarie alleanze) una alternativa e renderla convincente.

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