Hanno trovato il nemico contro cui aizzare l’opinione pubblica che tra qualche settimana dovrà votare a Milano, Napoli e in altre città italiane: l’Europa. Non è una novità. Che si tratti di economia o di immigrazione, da un pezzo la colpa è sempre dell’Europa. Ora ci si è messo pure Tremonti paventando la revisione dei trattati.
La destra di casa nostra ha scoperto che l’Unione è solo il contenitore di egoismi nazionali, ma questa è la loro Europa. Non ci hanno detto che le istituzioni comunitarie dovevano contare sempre meno e il volere degli stati sempre di più? Non bisognava opporsi al grande super-Stato europeo? E ora che il vento dell’ultradestra sconvolge l’Ungheria e «Veri finlandesi» lanciano lo slogan:«I finlandesi prima di tutto», scoprono che più l’interesse nazionale prevale su quello comune, più il nostro interesse nazionale soccombe a quello dei più forti?
L’Unione europea, oggi più che mai, ha bisogno di leadership e di scelte politiche coraggiose. Alla prova della crisi, l’Europa si è dimostrata divisa, incapace di fornire risposte comuni. Al punto da avere messo a repentaglio la stessa sopravvivenza della moneta unica. E con l’aria che tira, le prospettive per un rilancio del processo di integrazione sembrano allontanarsi. Ma il nostro futuro dipenderà dalla capacità dell’Europa di agire davvero come Unione. Perché l’Europa è semplicemente quello che i suoi stati vogliono o non vogliono che sia. Le posizioni della maggioranza di governo sono l’espressione di quello che Riccardo Perissich ha chiamato «il complesso di Calimero»: quel sistematico vittimismo che ha afflitto il nostro Paese in tutta la sua avventura europea. Non per caso, la difficoltà a gestire un’economia strutturalmente debole ha fatto riemergere tutti i nostalgici del vecchio statalismo e nuove correnti protezionistiche. Non per caso, l’Europa viene additata come lo strumento per privare il Paese del suo patrimonio e del controllo sulla sua economia. L’euroscetticismo di casa nostra è l’effetto della necessità pressante di colmare il divario tra l’adesione ideale all’integrazione europea e le scelte concrete di politica interna. Insomma, la maggior parte dei nostri problemi sono interni e vengono da lontano: il declino del nostro sistema educativo e la stagnazione degli investimenti, tanto per fare un esempio, non nascono certo oggi. Ma la triste parabola del governo Berlusconi si è incaricata di chiarire se Berlusconi passerà alla storia per quello che ha fatto o per quello che non ha fatto. E poiché il governo non è in grado di guidare la modernizzazione di cui il Paese ha bisogno, di far sì cioè che il Paese diventi europeo anche nei fatti, conviene prendersela con l’Europa.