La “Buona Scuola” sarà votata domani in aula al Senato con la fiducia. E domani si conclude con un vertice dei capi di Stato e di governo dall’agenda impegnativa, una settimana europea particolarmente laboriosa. Oltre alla difficile situazione greca e ad altri temi sensibili, si discuterà l’avvenire dell’Unione economica e monetaria, sul quale è stata appena pubblicata una complessa relazione. L’autore principale è il presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker. Ne ha parlato Enzo Moavero Milanesi sul Corriere della Sera in un articolo dal titolo molto eloquente: “Integrazione Europea. I giorni della svolta” (PressReader – Corriere della Sera – INTEGRAZIONE …). “Se nel giro di qualche giorno si chiuderá positivamente il negoziato con la Grecia; se su migrazione e asilo si confermerà l’inizio di un percorso di condivisione, e se finalmente prenderà corpo il dibattito sul futuro del governo dell’euro nel senso di una maggiore integrazione, allora davvero Bruxelles non sarà più soltanto il facile obiettivo di populisti di ogni sorta”, ha detto, infatti, al Foglio Marco Piantini, sherpa di Palazzo Chigi sulle questioni europee e già collaboratore dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Grecia, euro, migranti).
Settimana operosa anche sull’altra sponda dell’Atlantico. Ieri il Senato degli Stati Uniti ha rimesso in pista (grazie al sostegno dei Repubblicani) l’accordo sul commercio, che sembrava finito fuori strada. Il Senato martedì ha infatti votato per garantire al presidente Obama i poteri necessari per completare il negoziato in corso e concludere il principale accordo commerciale del Pacifico, assicurando il passaggio finale della priorità legislativa degli ultimi anni del mandato di Obama. La Camera ha votato la trade promotion authority la scorsa settimana. E adesso, con l’assenso del Congresso alla “fast track authority”, il presidente può premere per l’intesa finale sul Trans-Pacific Partnership, un accordo che può caratterizzarne il lascito, legando il 40% dell’economia mondiale (dal Canada al Cile, dal Giappone all’Australia) in una rete di regole in grado di governare il commercio nel Pacifico. La sua amministrazione ora può anche stendere un accordo con l’Europa (il Ttip) sapendo che i legislatori potranno votare pro o contro questi accordi ma non potranno emendarli o bloccarli con l’ostruzionismo. L’accordo transatlantico non è tuttavia in procinto di essere completato e dovrà attendere la prossima amministrazione, ma la “delega” (vale a dire, i poteri negoziali del presidente) durerà sei anni, ben dentro la nuova presidenza. Insieme, questi due accordi metteranno la gran parte del mondo sotto le stesse regole commerciali, non soltanto levando tariffe e barriere alle importazioni, ma anche creando nuovi standard per l’accesso a internet, alla proprietà intellettuale e alla protezione degli investimenti (Trade Accord, Once Blocked, Nears Passage – The New …).
Segnalo inoltre una pubblicazione del World Economic Forum: “Industrial Internet of Things: Unleashing The Potential of Connected Products and Services” (Industrial Internet of Things: Unleashing the Potential of …). Che cos’è l’Internet delle cose? Per saperlo basta andare su Wikipedia: “L’Internet delle cose è vista come una possibile evoluzione dell’uso della Rete. Gli oggetti si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri. Le sveglie suonano prima in caso di traffico, le piante comunicano all’annaffiatoio quando è il momento di essere innaffiate, le scarpe da ginnastica trasmettono tempi, velocità e distanza per gareggiare in tempo reale con persone dall’altra parte del globo, i vasetti delle medicine avvisano i familiari se si dimentica di prendere il farmaco. Tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo grazie al collegamento alla Rete (…) I campi di applicabilità sono molteplici: dalle applicazioni industriali (processi produttivi), alla logistica e all’infomobilità, fino all’efficienza energetica, all’assistenza remota e alla tutela ambientale”. Si parla, infatti, di quarta rivoluzione industriale. In altre parole, l’Industria 4.0 è per la produzione quello che per i consumatori è l’Internet of Things, in cui qualsiasi cosa (dalle auto ai termostati ai tostapane) sarà connessa a internet. Sarà un “approccio completamente nuovo alla produzione,” secondo un reportreso pubblico nel 2013 dal Industrie 4.0 Working Group, un agglomerato di grossi industriali, esperti di intelligenza artificiale, economisti e accademici. Qualche tempo fa, Roberta Miraglia ha scritto sul Sole 24 Ore: “La quarta rivoluzione industriale ha mosso i primi passi ad Hannover solo quattro anni fa ma già promette cambiamenti epocali. E la Germania, pioniere mondiale di Industrie 4.0, si candida a guidare l’innovazione. La digitalizzazione dei processi produttivi nella ‘fabbrica intelligente’, dove le macchine sono interconnesse da sofisticati sistemi informatici in grado anche di pronosticare i guasti, nel giro di un decennio trasformerà il settore manifatturiero. Sempre che Governi, imprenditori e sindacati vogliano e sappiano cavalcare l’onda. Come ha fatto la Germania: nel 2010 il governo federale ha istituito una commissione, Alleanza per la ricerca, al fine di elaborare le strategie dell’hi-tech. Industrie 4.0 è il frutto più promettente del gruppo di lavoro che ha il compito di mettere a punto nuovi processi, regole e standard della smart factory. Coinvolgendo parti sociali, università, enti pubblici”. Da noi se ne parla pochissimo. Peccato. Perché, come ha scritto Peter Thiel (uno che se ne intende, cofondatore di PayPal e Palantir, e poi investitore in centinaia di startup, comprese Facebook e SpaceX) nel suo libro “Da zero a uno”, “gli uomini si distinguono dalle altre specie per la nostra capacità di fare miracoli. Noi li chiamiamo tecnologia (…) gli umani non decidono che cosa realizzare scegliendo da un qualche catalogo cosmico di opinioni già date; al contrario, creando nuove tecnologie, noi riscriviamo il piano del mondo”.