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Messaggero Veneto, 15 novembre 2014 – «DEBORA, ORA SERVONO I FATTI»

Ha detto bene Serracchiani: «La Specialità non solo non è in discussione, ma diventa una risorsa per tutto il Paese quando le riforme del territorio hanno la forza di essere un modello per l’Italia». Giusto. Bisogna però darsi una mossa. La nostra Regione gode di un’ampia potestà legislativa per profili rilevanti in tema di lavoro. Eppure, il «contratto di ricollocazione» (ora nel Jobs Act), uno strumento indispensabile per coniugare il sostegno al reddito dei disoccupati e le misure per il loro reinserimento, muove i primi passi nel Lazio, una Regione ordinaria. Mentre in Fvg tutti i passi compiuti in passato (in particolare con Illy) per riformare gli assetti istituzionali del mercato del lavoro sono stati accantonati e la stessa Lr 18/2005, che allora presentava indubbi profili innovativi per la gestione delle crisi occupazionali, appare in ritardo rispetto alla normativa nazionale. Il Masterplan regionale dei servizi per il lavoro 2011-2013, predisposto a suo tempo dall’Agenzia regionale per il lavoro, è rimasto, nonostante i cospicui investimenti, un abbozzo. Con quel documento ci si proponeva di valorizzare e favorire le forme di integrazione e collaborazione tra i servizi pubblici e quelli di natura privata. Ora (pur avendo a disposizione già un documento pronto, da aggiornare), pare che l’assessore competente, Loredana Panariti, stia promuovendo la redazione di un muovo Masterplan. È verosimile che non condivida la filosofia di fondo di quello già approvato: un modello basato sulla creazione di una rete di servizi al lavoro nella quale, pur restando la governance in mano all’operatore pubblico, i diversi attori privati siano permanentemente coinvolti in base alle specifiche competenze. Infatti, il confronto fra Pipol, il principale intervento messo in atto dall’attuale giunta in termini di politiche attive del lavoro, e il progetto Restart, una delle sperimentazioni di decina di anni fa, è chiarificatore. Restart era un progetto di cooperazione tra sistema pubblico e privato, finalizzato al reinserimento lavorativo dei soggetti coinvolti in crisi occupazionali, basato su attività di accompagnamento al reinserimento lavorativo, di formazione rivolta all’occupabilità, di azioni di promozione presso la domanda di lavoro necessarie per la raccolta dei posti vacanti. Pipol, al contrario, riporta la centralità degli interventi sui Centri pubblici per l’impiego, riservando loro addirittura la gestione diretta di una quota di tirocini in azienda, nella maggioranza delle altre regioni ordinarie appannaggio invece degli operatori privati; non vi è un adeguato e tempestivo coinvolgimento delle imprese, come avviene in Veneto, dove le risorse sono erogate solo a partnership composte contemporaneamente da enti di formazione, Agenzie per il Lavoro e aziende interessate ad assumere; non si coinvolgono subito gli operatori privati, sebbene il loro ruolo sia centrale, tant’è che non è stata neanche attivata la misura relativa all’accompagnamento al lavoro. Purtroppo, così com’è concepito, il progetto Pipol è destinato a fallire e a tradursi in un grande spreco (circa 40 milioni di euro). Nessuno a cui capiti di perdere un lavoro può, infatti, essere aiutato efficacemente a trovarne un altro, se la politica della Regione si limita a far compilare a quella persona una pratica inutile che resta ferma sui tavoli dei Centri pubblici per l’Impiego. E il guaio è che gli enti di formazione, le ex-agenzie interinali, i consulenti del lavoro e le imprese non sono concretamente coinvolti nella progettazione e gestione dei percorsi di reinserimento dei disoccupati. Serracchiani crede davvero che il sistema pubblico sia in grado di coordinare e stabilire con la stessa efficacia di quello privato l’indispensabile rete di contatti, collaborazioni e progettualità con le aziende regionali? Non è così. Invece di continuare ad assumere e stabilizzare dipendenti pubblici per mantenere in vita un sistema fallimentare di ricollocamento al lavoro, la Regione dovrebbe affidare tale sistema nelle mani delle strutture e organizzazioni private che operano a stretto contatto con le imprese e che con queste possono collaborare per costruire efficaci percorsi personalizzati di incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro. Non è forse questa l’idea di fondo del Jobs Act di Renzi? E, come in ogni battaglia riformista, ci vuole coraggio, bisogna superare una montagna di egoismi. Solo così si diventa davvero speciali
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