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Israele comincia a piacere agli stati arabi? – Il Riformista, 17 agosto 2020

L’annuncio che gli Emirati Arabi Uniti normalizzeranno (sono il terzo paese arabo a farlo) le loro relazioni diplomatiche con Israele (che, a sua volta, sospenderà i piani di annessione) ha suscitato, manco a dirlo, reazioni contrastanti. Logicamente, la notizia è stata esaltata da entrambe le parti e dal presidente Trump e, altrettanto comprensibilmente, i palestinesi non sono così entusiasti.

The National, il quotidiano, edito ad Abu Dhabi, di proprietà del governo degli Emirati Arabi Uniti, in un editoriale ha esaltato le prospettive di collaborazione, mentre Tom Friedman del New York Times lo ha definito un «terremoto» che potrebbe cambiare le dinamiche della regione. Un movimento tellurico non certo della portata dei trattati di pace egiziano e giordano con Israele, o della stretta di mano sul prato della Casa Bianca tra il leader dell’OLP, Yasser Arafat, e il presidente israeliano Yitzhak Rabin, ma «quasi», in quanto schiera sul campo una nuova coalizione contro l’Iran e potrebbe anche preparare il terreno all’apertura delle relazioni con Israele da parte di altri Stati del Golfo. (Friedman riporta anche alcuni commenti sarcastici sulle possibili motivazioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che deve affrontare un processo per corruzione: «Come mi ha fatto notare lo scrittore israeliano Ari Shavit, ‘Netanyahu sta cercando di tirarsi fuori dal suo personale Watergate andando in Cina. È come Nixon all’inverso’»).

E tuttavia, non tutti misurano l’intensità dell’annuncio sulla scala Richter. Su Foreign Policy, Bilal Y. Saab concorda sul fatto che sia rilevante (e che il presidente Trump e la sua amministrazione vadano elogiati), poi nota che non è come se gli Emirati Arabi Uniti e Israele avessero combattuto una guerra, e l’apertura di canali diplomatici ufficiali formalizza perlopiù una relazione che esiste già, anche se sottobanco. Sulla CNN, Aaron David Miller la definisce «una rara coincidenza di interessi e una netta vittoria» per Israele, gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti; ma una vittoria che esclude i palestinesi e fa molto poco per avanzare la pace su quel fronte, anche se «per il momento disinnesca la questione dell’annessione».

Naturalmente, come riporta il Middle East Eye, «L’Autorità palestinese ha denunciato l’accordo in una dichiarazione definendola ‘un tradimento di Gerusalemme, Al-Aqsa (la moschea che sorge sull’area sacra del Tempio di Gerusalemme) e della causa palestinese’». Hanan Ashrawi, una politica e docente universitaria palestinese, conosciuta per essere stata portavoce nella fase della nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese, «ha detto che Israele è stata ricompensata per la sua occupazione. ‘Gli Emirati Arabi Uniti sono usciti allo scoperto con le loro relazioni segrete con Israele. Vi prego, non fateci un favore. Non siamo la foglia di fico di nessuno’, ha twittato».

Questa dinamica è una caratteristica delle relazioni arabo-israeliane nell’era Trump, ha scritto, qualche mese fa, Aaron David Miller su Politico Magazine. Visto che gli Stati Uniti vogliono ingraziarsi contemporaneamente sia il primo ministro Benjamin Netanyahu che le autocrazie arabe, osserva Miller, Washington ha propiziato una «sbalorditiva distensione dei rapporti diplomatici» tra Israele e gli Stati del Golfo come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, nonostante la linea dura anti-palestinese di Netanyahu e la supposta unità araba in favore dello Stato palestinese.

Il mondo arabo non era ancora «disposto a liberarsi dall’attrazione emotiva della questione palestinese o dalla sua opinione negativa, e troppo spesso antisemita, riguardo Israele», Miller scriveva lo scorso maggio. E tuttavia, osservava, «la stanchezza e la frustrazione crescenti riguardo all’eterna causa palestinese hanno aperto uno spazio più ampio agli Stati arabi perseguire i propri interessi». La comune minaccia dell’Iran, e il richiamo esercitato dal favore e dalle armi americane, ha trasformato Israele in un alleato vantaggioso per gli Stati del Golfo, nonostante la questione pendente dello Stato palestinese.  Bisognerà prenderne atto.

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