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L’Hamilton Moment dell’Europa – Il Riformista, 26 giugno 2020

Il primo luglio la Germania assumerà la presidenza di turno della Ue per un semestre che come priorità assoluta avrà, ovviamente, quella di trovare un accordo sul Recovery Fund, un pacchetto senza precedenti, in termini di portata finanziaria e politica, ma sui cui dettagli (a cominciare dal suo ammontare complessivo di 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi di sovvenzioni) i 27 paesi membri sono ancora profondamente divisi.

Angela Merkel spera di trovare un compromesso politico al più alto livello nel Consiglio europeo successivo al vertice del 17 e 18 luglio, che dovrebbe tenersi comunque entro la fine del mese (anche se non è escluso che i negoziati si trascinino fino ad agosto).

Di fronte al Covid-19, l’Europa ha stentato a muoversi in modo deciso, ma la proposta franco-tedesca di finanziare la ripresa permettendo alla Commissione europea di “indebitarsi sui mercati per conto della Ue”, porterebbe definitivamente l’Unione europea in un territorio nuovo, caratterizzato da un’unione fiscale e da quella mutualizzazione del debito che in molti hanno a lungo contrastato (anche la Merkel si è convertita solo di recente). Si tratta di un passo che, si sa, alcuni paesi contestano ancora (l’Olanda, l’Austria, la Danimarca e la Svezia stanno resistendo al piano), ma la proposta è stata celebrata, fin dal suo apparire, come un «Hamilton Moment», un accordo degno di Alexander Hamilton, alludendo alla creazione dell’unione fiscale tra gli stati americani. Il primo leggendario ministro del tesoro degli Stati Uniti, dopo la Rivoluzione americana, ideò, infatti, splendidamente, un accordo con i suoi irascibili contemporanei per permettere al nuovo governo degli Stati Uniti di assumere i singoli debiti di guerra delle ex colonie e convertirli in obbligazioni comuni dell’unione federale (in modo da prevenire la bancarotta dei singoli stati). Gli storici lo considerano uno dei passi decisivi per la costruzione del sistema di governo americano.

Ai tempi di Hamilton, le valutazioni pro e contro la mutualizzazione del debito non erano diverse dalle discussioni in corso oggi in Europa e le opposizioni erano altrettanto robuste. La Virginia (lo stato più grande e più ricco dei 13 originari) aveva il ruolo della Germania. I virginiani erano previdenti e preoccupati del loro benessere; avevano già pagato i loro debiti ed erano restii ad accollarsi la responsabilità di salvare gli inetti confratelli di stati come il Massachusetts. Secondo la leggenda, alla fine la questione venne risolta a New York nel corso di una cena privata tra i tre grandi “fondatori” (Hamilton, Jefferson e Madison). Fu raggiunto un accordo (in cambio dello spostamento della capitale da New York al confine tra Virginia e Maryland, sul Potomac), il cosiddetto «dinner table compromise», definito «uno dei patti più importanti della storia americana» (una scena rappresentata anche in uno dei musical di Broadway più di successo degli ultimi anni: “Hamilton”). Naturalmente, per raggiungere lo stadio attuale all’America ci sono voluti 230 anni di alti e bassi. Ma tutto si fonda su quella cena e su quel patto con i virginiani.

Ovviamente, c’è chi considera il paragone parecchio esagerato (e il Recovery Fund una sorta di petardo bagnato), ma l’espressione allude anche ad un momento di presa di coscienza di come stanno realmente le cose da parte di un’Europa a volte troppo autoreferenziale. Ad esempio, il cosiddetto «Sputnik Moment» è l’espressione con cui si identifica la risposta americana allo shock del successo sovietico con il primo satellite mandato in orbita attorno alla terra che colse impreparati gli Stati Uniti. La risposta americana porterà alla Space Race durante la Guerra fredda (con vaste implicazioni nella ricerca e nelle potenzialità industriali e militari) e allo sbarco dell’uomo sulla Luna.

Lo shock stavolta c’è stato. In una intervista sullo Spiegel, il ministro francese dell’economia e delle finanze, Bruno Le Marie, la settimana scorsa ha fornito un racconto drammatico della prima serie di video conferenze che sono state la chiave per mobilitare l’Europa in direzione di un’azione comune e di un primo pacchetto di salvataggio, prima che, un mese dopo, trapelasse il progetto franco-tedesco. «Nella notte tra il 7 e l’8 aprile, si è tenuta una conferenza dei ministri europei delle finanze. É mia opinione che quella notte l’Europa sia sfuggita alla catastrofe per un soffio. I negoziati sono stati molto duri e difficili, e anche dopo molte ore, non riuscivano a trovare un’intesa. Attorno alle 5 del mattino, dissi che era una vergogna che nel momento in cui il continente contava i morti, ognuno pensasse unicamente al proprio budget, ai propri euro. Temevo che sarebbe finita in un disastro», racconta Le Marie al giornale tedesco. E della decisione di aggiornarsi al 9 aprile dice: «É stata la nostra salvezza, dopo una notte insonne, abbiamo parlato al telefono tutto il giorno, e finalmente riuscimmo a superare le resistenze di diversi paesi. Ma c’è mancato poco, molto poco».

Ora resta da vedere dove ci porterà la reazione europea. Dopo che il virus ha stimolato una azione collettiva così importante, Le Marie prevede che la Ue entrerà in una nuova fase della sua esistenza e della sua identità. Alla domanda se il Covid-19 ha salvato l’Europa, Le Marie risponde di essere «più incline a ritenere che sono stati il presidente francese e tre donne a salvare il continente nel pieno di una delle sue peggiori crisi: Angela Merkel, Ursula Von der Leyen e Christine Lagarde, il capo della Banca centrale europea, che ha messo ha disposizione dapprima 750 miliardi di euro e successivamente altri 600 miliardi. É una cosa senza precedenti nella storia dell’Europa. Anche questo dimostra che qui abbiamo valori diversi rispetto agli Stati Uniti e alla Cina».

C’è da augurarsi, tuttavia, che, come lo «Sputnik Moment», l’«Hamilton Moment» dell’Europa segni la presa d’atto di come stanno le cose e del nostro ritardo e, al tempo stesso, rappresenti lo sforzo per recuperare il terreno perduto. Uno sforzo che deve basarsi sulla consapevolezza che oggi l’Europa è tenuta a superare la crisi insieme, come un’unione, e non divisa in 27 stati nazione. E se dovesse servire, nel continente non mancano certo i posti dove andare a cena.

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