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“Los redentores” – Il Foglio, 13 marzo 2017

Al direttore – LItalia che redime ha battuto lItalia riformista. Era nellaria. Il populismo è un fenomeno che ha il vento in poppa un podovunque e non è certo da oggi che in Italia los redentoressi contendono i fedeli. I grillini, si sa, sono una pagina dellalbum di famiglia della sinistra italiana, ma anche la destra non si è mai fatta mancare nulla: oggi Berlusconi è certo molto meno antisistemico e ben più costituzionalizzato di un tempo, ma ne è passata di acqua sotto i ponti; e perfino gli schiamazzi populisti della Lega sono sussurri rispetto a quando si parlava del Veneto come se fosse lUlster. Insomma, dal tramonto della Prima Repubblica sul nostro paese si sono abbattute violente ondate populiste. Al punto che la lotta politica tra soggetti che si riconoscono legittimità ha ceduto il passo alla guerra di religione tra tra popoli omogenei (dal Popolo viola allEsercito di Silvio) trasformando il bipolarismo degli ultimi ventanni in una guerra di trincea tra nemici convinti di possedere il monopolio della virtù. A soffrirne è stato il tessuto istituzionale del paese, esposto ai feroci colpi degli uni e degli altri.

Michael Mandelbaum narra che la nonna (che emigrò negli Stati Uniti dallEuropa dellest nella prima parte del secolo scorso) una volta gli raccontò del dibattito a tre tra i candidati a sindaco nella città di New York. Dopo che il repubblicano e il democratico ebbero parlato, il candidato socialista cominciò ̀il suo discorso con queste parole: Potete credere a quel che dicono i miei avversari. Sono sinceri. Quando il democratico vi dice che il repubblicano è inadeguato, gli potete credere. E quando il repubblicano vi dice che il democratico non vale niente, potete credere anche a lui. Insomma, gli italiani (non diversamente dagli americani) hanno finito per credere a quel che berlusconiani e antiberlusconiani, comunisti e anticomunisti, hanno detto gli uni degli altri, col risultato che la considerazione per la politica è caduta ai minimi storici.

E’ finita che, come sostiene Steve Bannon, lo stratega che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca, le elezioni del 4 marzo hanno trasformato lItalia nel centro del mondo in rivoltae che di partiti espressione della rivolta dei disagiatiin Italia ce ne sono addirittura due. La Lega ammira la Russia autocratica di Putin e il governo nazionalista ungherese; il M5s coltiva gli istinti antiliberali che abbondano nella pancia del paese e somiglia sempre più ai populismi sudamericani, con lidentica pretesa di incarnare il Bene e di possedere il monopolio della virtù. E tuttavia la convergenza tra i due vincitori (espressioni diverse dello stesso fenomenodice Bannon) è nei fatti. Ci sono due vincitori perché ci sono due Italie ma, come ha scritto Giovanni Innamorati, tale contrapposizione è un motivo in più per dare vita a un governo di tutte le forze che hanno vinto il referendum del 4 dicembre. Avrebbero lopportunità storica di unificare queste due Italie. Che poi questa alleanza “naturale” sia in grado di produrre qualcosa di buono per il paese, ovviamente, resta da vedere.

Va detto però che Matteo Renzi era riuscito a sottrarre fedeli ed ossigeno al populismo per traghettarli verso quella “big tent” che poteva stabilizzare il sistema. Ma per vincere doveva tenersi stretto il patto del Nazareno. La rottura con Forza Italia ha reso impossibile lapprovazione della riforma costituzionale e, sciupata lultima opportunità di riformare il sistema esistente per renderlo di nuovo credibile, tanto il Pd che Fi sono andati a sbattere contro il muro.

Contro Renzi, si sa, si è scatenata una guerra senza quartiere (e ancora una volta ha vinto la “levelling coalition”), ma di errori Renzi ne ha fatti parecchi. Secondo Silvio Berlusconi a Renzi va riconosciuto il merito di aver chiuso con la tradizione comunista del suo partito, ma ha trasformato il Pd in una scatola vuota che si riempie solo con aspirazioni di potere. E c’è del vero. Ora la polarizzazione tra populismo illiberale e liberalismo obbligherà il Pd a fare i conti con la realtà (e probabilmente a superarsi) e a prendere atto che la stagione renziana non è stata una parentesi da archiviare in fretta. Si tratta, piuttosto, di riempire di contenuti quella scatola, di provare, cioè, a ricostruire un partito seriamente riformista (meno di metà del 40 per cento degli italiani che hanno votato Sì al referendum hanno votato Pd il 4 marzo), in grado di combattere un sistema di valori antitetico alla modernità; quel male che, secondo il premio Nobel Edmund Phelps, affligge le società occidentali: non lassenza di opportunità di fare profitto, o qualche omissione del settore pubblico (come ponti o strade che non sono state costruite), ma il declino dei valori moderni che avevano diffuso il desiderio di innovare. Di Maio e los redentorescon la sinistra moderna non hanno mai avuto niente a che fare.

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