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La presidente se ne va a Roma ma non faccia come il Re d’Italia – Messaggero Veneto, 13 settembre 2017

Leggo che, com’è naturale, il gruppo dirigente regionale del Pd sta ragionando sul da farsi, ma bisogna partire da un punto fermo: c’è l’elezione diretta del presidente. Il che implica alcune cose. Prima della riforma del ’93, nei Comuni e dell’elezione diretta del presidente in Regione, il mandato amministrativo rappresentava una sorta di intermezzo tra una crisi e un’altra. Oggi i cittadini scelgono col voto un leader e la sua maggioranza. Abbiamo dato, per così dire, «un volto alla democrazia». Il presidente è dunque la figura su cui si concentra la responsabilità politica. E, di norma, si ricandida.

Ora, non è un mistero per nessuno che Serracchiani se ne voglia andare. Il punto è come. Non può semplicemente dire me ne vado, vedetevela voi. Si tratta di evitare la fuga precipitosa alla volta di Brindisi da parte del Re, del Governo e dei vertici militari. E bisogna evitare che nel Pd si continui ancora ad “aspettare Godot” (e non si sa neppure chi sia, Godot). Lo stato d’attesa in cui il Pd sembra precipitato da mesi, si tradurrebbe, per restare a Beckett, in una rappresentazione dell’assurdo.

L’elezione diretta, poi, ha altre implicazioni. La Regione è una sorta di grande collegio uninominale. E gli elettori scelgono il governo con il loro voto. Dunque, le alleanze si fanno prima del voto e non dopo. E l’ampiezza (e, ovviamente, la qualità) dell’alleanza è decisiva. Anche perché si vince al primo turno. Qui però ci sono due problemi. Il Pd, alle amministrative, ha mostrato una capacità coalizionale molto scarsa. Al contrario del centrodestra.

Seconda questione. Il «centro» di Alfano in Friuli sta con il centrodestra. Ma com’è possibile? Alfano governa con la sinistra da 5 anni e se si guarda la cosa dal livello nazionale, verrebbe da chiedersi: alle posizioni della sinistra riformista risulta più affine Alfano o Mdp? Messa in termini politici generali: perché sarebbe “naturale” allearsi con chi ha promosso una scissione solo due mesi fa e “innaturale” allearsi con un partito di centro che sostiene lealmente il Governo da 5 anni?

Terzo punto. Con l’elezione diretta, il candidato è il programma. Debora è stata un candidato “populista”. Il populismo non ha solo un’accezione negativa. Da sempre, si propone di “rigenerare” la democrazia, per tornare ai “veri” principi e valori. Serracchiani è stata scelta, fin dalle Europee, per incanalare il diffuso malcontento contro il gruppo dirigente del Pd. Un candidato radicale, antiberlusconiano che incarnava la voglia di cambiamento riassunta nello slogan della “rottamazione”. Era il frutto di quella stagione. Ma se Debora se ne va, se ne va anche quella formula. Che peraltro è ormai esaurita. O si pensa a una riedizione del Pd bersaniano senza Bersani? Ma sostituirla con un candidato “riformista” (senza peraltro lo stesso appeal televisivo) ha una serie di implicazioni che riguardano il «frame», come dicono gli americani, cioè la confezione, e ovviamente il profilo, l’alleanza, le necessarie discontinuità.

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