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Il discorso di Obama sul terrorismo e i frutti della paura

É vero che, come scrive oggi Stefano Ceccanti su l’Unità, «in un sistema a doppio turno le analisi approfondite si fanno alla fine dei ballottaggi e qualsiasi riflessione precedente deve sempre essere vista come provvisoria»; ed è vero che «occorre evitare allarmismi sproporzionati anche in vista delle Presidenziali: stiamo comunque commentando elezioni di medio termine in cui vota il cinquanta per cento degli elettori e non il settanta come accade per il presidente». Giusto. Resta il fatto però che, come hanno osservato sia il New York Times che El País, in Francia si cominciano a cogliere i frutti della paura (Francia y el voto del miedo). La crescita sorprendente del partito di estrema destra, il Front National, nelle elezioni regionali di domenica scorsa è stata chiaramente alimentata dalle paure scaturite dall’attacco del 13 novembre a Parigi e da mesi di annunci senza sosta sull’ondata di profughi che sommerge l’Europa (Editorial: In France, the Political Fruits of Fear). E rappresenta una strigliata umiliante tanto per il Partito socialista e il governo di François Hollande quanto per il Partito repubblicano di centro-destra dell’ex presidente Sarkozy. La nuova popolarità guadagnata da Hollande (in seguito alle misure straordinarie assunte dal suo governo dopo gli attacchi del 13 novembre, compresa la dichiarazione dello stato di emergenza) non ha compensato, infatti, la sua più grande debolezza, vale a dire la sua incapacità di assicurare progressi sul fronte economico.

Ma c’è dell’altro che, come un magma, sembra risalire all’interno della crosta terrestre fino alla superficie e dare origine ad una colata. Da tempo sono persuaso «che oggi lo spartiacque fondamentale della politica italiana non sia più quello usuale tra la sinistra e la destra tradizionali». «Il fatto è – scrivevo non molto tempo fa su formiche.net – che sta nascendo un bipolarismo diverso rispetto al passato. E’ da un pezzo che il vero discrimine è tra chi è convinto che la strategia migliore per uscire dalla crisi sia quella concordata con i nostri partner europei e chi invece ritiene che proprio questa strategia sia la rovina del Paese. In altre parole, tra chi vuole cogliere l’occasione offerta dalla crisi per innescare un processo di rapido allineamento dell’Italia ai migliori standard europei e chi pensa che questo progetto sia irrealizzabile…» (Formiche.net, 15 novembre 2015 – Sta nascendo un nuovo bipolarismo in Italia?). E non c’è dubbio che anche in Francia il vero spartiacque sia il modo in cui ci si rapporta alla globalizzazione. Sull’argomento è tornato Pietro Ichino: «I frequentatori di questo sito sanno che in questi ultimi anni, in riferimento allo spartiacque principale della politica italiana, ho coltivato l’ipotesi che esso oggi corresse tra i favorevoli e i contrari a quella che ho chiamato la “riforma europea” del nostro Paese,  la strategia necessaria per la sua integrazione nell’UE. Ora, osservando quello che sta accadendo in Francia e le sue analogie con quello che in vario modo sta accadendo o è accaduto nei Paesi Bassi, in Polonia, in Ungheria e nel Regno Unito, formulo l’ipotesi che lo spartiacque principale della politica nell’Europa intera corra in realtà tra chi si propone di accettare la sfida della globalizzazione, mettendo in cantiere tutte le riforme che costituiscono il corollario di questa scelta, e chi invece dalla globalizzazione intende solo difendersi. A ben vedere, la costruzione della nuova Unione Europea non è altro che il primo capitolo della politica di chi vuole aprirsi alla sfida della globalizzazione. Viceversa, la difesa delle sovranità nazionali e il ritorno alle vecchie frontiere fortificate costituiscono il primo capitolo della politica di chi quella sfida la respinge. Se le cose stanno così, occorre spiegarlo onestamente agli elettori. Anche a costo di superare le vecchie contrapposizioni del Novecento. Altrimenti, se continuiamo a dividerci sui crinali tradizionali, la battaglia che oggi più conta rischia di essere persa senza che neppure la si sia davvero combattuta» (PER CAPIRE QUEL CHE STA ACCADENDO IN FRANCIA).

Vengo al discorso di Obama (Obama Delivers Speech on Terrorism), che merita di essere ascoltato fino alla fine. Dopo la strage compiuta da Syed Farook e dalla moglie Tashfeen Malik, domenica sera, per la terza volta nel corso della sua presidenza, il presidente Barack Obama si è rivolto alla nazione dallo Studio Ovale della Casa Bianca. Obama ha cercato di rassicurare gli americani, dopo l’attacco terroristico di San Bernardino (California) che ha ucciso 14 persone, riguardo alle misure decise dal governo per garantire la loro sicurezza. Obama non ha annunciato un cambio di strategia nella lotta per sconfiggere l’ISIL (il che ha reso l’annuncio domenicale un bersaglio facile per i suoi detrattori), ha cercato piuttosto di chiarire come stanno le cose.

Ha spiegato che molte cose su San Bernardino devono essere ancora accertate dalle indagini e che non c’è alcun prova che gli assassini fossero sotto la guida di qualcuno o sotto l’influenza diretta da parte di organizzazioni terroristiche internazionali o fossero parte di una più ampia cospirazione interna. Cosa sappiamo? Sappiamo, ha illustrato Obama, che l’assalto è stato condotto da due soggetti «radicalizzati», che hanno abbracciato una interpretazione scellerata dell’Islam che invoca la guerra contro l’America e l’Occidente e sappiamo che si tratta «un atto di terrorismo progettato per uccidere persone innocenti». Sappiamo che negli anni recenti la minaccia terroristica è entrata «in una nuova fase». Da attacchi su larga scala e di grande effetto, come quelli dell’11 settembre 2001 (che ora siamo in grado di prevenire), si è passati ad attacchi meno complicati da organizzare, che sono gestiti da singoli individui, fortemente radicalizzati. Come le sparatorie di massa, che avvengono ormai ogni giorno negli Stati Uniti. E sappiamo «che dopo tanta guerra, molti americani si stanno chiedendo se abbiamo a che fare con un cancro che non ha una cura immediata».

Obama ha detto anche agli americani quel che devono sapere. «La minaccia del terrorismo è concreta, ma la sconfiggeremo. Distruggeremo l’ISIL e qualunque altra organizzazione che cerchi di farci del male». Ed ha spiegato come. «Primo. Le nostre forze armate continueranno a braccare i terroristi dovunque sia necessario. In Iraq e in Siria, gli attacchi aerei stanno tallonando i leader dell’ISIL e distruggendo le armi pesanti, i depositi di petrolio, le infrastrutture. E dagli attacchi di Parigi i nostri alleati più stretti (che includono la Francia, la Germania, il Regno Unito) hanno accresciuto il loro contributo alla campagna militare, il che contribuirà a rendere più celeri i nostri sforzi per distruggere l’ISIL». «Secondo. Continueremo a fornire addestramento ed equipaggiamento a decine di migliaia di soldati siriani e iracheni che combattono l’ISIL sul terreno in modo da privarlo di ogni rifugio sicuro. In entrambi i paesi stiamo stanziando forze speciali che possono accelerare l’offensiva. Abbiamo intensificato gli sforzi dopo gli attacchi di Parigi e continueremo ad investire di più in metodi in grado di funzionare sul terreno». «Terzo. Stiamo lavorando con amici e alleati per fermare le operazioni dell’ISIL – vanificare i complotti, tagliare i loro finanziamenti e impedire loro di reclutare più combattenti. Dopo gli attacchi di Parigi abbiamo accresciuto la condivisione dell’intelligence con i nostri alleati europei. Lavoriamo con la Turchia per sigillare la sua frontiera con la Siria. E stiamo cooperando con i paesi a maggioranza musulmana – e con la comunità musulmana di casa nostra – per contrastare l’ideologia malvagia che l’ISIL promuove on line». «Quarto. Sotto la guida americana, la comunità internazionale ha avviato una trattativa – e definito la sua tempistica – per ottenere un cessate il fuoco e una soluzione politica della crisi siriana. Ciò consentirà al popolo siriano e ad ogni altro paese (ai nostri alleati, ma anche a paesi come la Russia), di concentrarsi sull’obiettivo comune di distruggere l’ISIL – un gruppo che ci minaccia tutti». Questa, ha detto Obama, è la nostra strategia per distruggere l’ISIL.

Il presidente americano ha indicato poi alcuni dei passi avanti che deve fare il Congresso. Per prima cosa bisogna fare in modo che, nel caso di persone già note o su liste particolari come quelle che impediscono di imbarcarsi sugli aeroplani, nessuna di loro possa comprare un’arma («Quale può mai essere la ragione per consentire ad un sospetto terrorista di comprare un’arma semiautomatica?», ha chiosato). Dobbiamo anche rendere più difficile per chiunque acquistare armi d’assalto potenti come quelle che sono state usate a San Bernardino. Dobbiamo inoltre mettere in piedi più forti sistemi di controllo per quanti entrano in America senza un visto. Infine, il Congresso deve autorizzare la prosecuzione dell’uso della forza miliare contro questi terroristi.

Dopo avere indicato i passi da compiere per sconfiggere la minaccia terroristica, Obama ha anche detto cosa gli americani non dovranno fare. «Non dobbiamo farci trascinare ancora una volta in una lunga e costosa guerra di terra in Iraq o in Siria. Questo è quel che vogliono gruppi come l’ISIL. Sanno che non ci possono sconfiggere sul campo di battaglia. I combattenti dell’ISIL erano parte della ribellione che abbiamo affrontato in Iraq. Ma sanno anche che se noi occupiamo terre ostili, possono mantenere le rivolte per anni, uccidere migliaia dei nostri soldati, spremere le nostre risorse e usare la nostra presenza per attrarre nuove reclute». «La strategia che usiamo adesso – attacchi aerei, forze speciali, agire con le forze locali che stanno combattendo per riprendere il controllo del loro territorio – è il modo in cui otterremo una vittoria in un modo accettabile. E non ci sarà bisogno di mandare una nuova generazione di americani oltremare per combattere e morire per un altro decennio sul suolo straniero». E c’è una altra cosa che non possiamo fare. «Non possiamo metterci uno contro l’altro lasciando che questa lotta venga descritta come una guerra tra l’America e l’Islam. Anche questo è quel che vuole l’ISIL. L’ISIL non parla per conto dell’Islam. Sono dei farabutti e degli assassini, parte di un culto di morte, che non rappresentano che una piccolissima frazione del miliardo e più di musulmani nel mondo – compresi milioni di patriottici musulmani americani che respingono una ideologia così odiosa. Inoltre la maggior parte delle vittime dei terroristi nel mondo sono musulmani. Se vogliamo aver successo nello sconfiggere il terrorismo dobbiamo includere la comunità musulmana tra i nostri più preziosi alleati, anziché allontanarla con il sospetto e con l’odio. Il che non significa negare il fatto che l’ideologia estremista si è diffusa all’interno di alcune comunità musulmane. Questo è un problema vero che i musulmani devono affrontare senza giustificazioni. I leader musulmani qui e nel mondo devono continuare a lavorare con noi per rifiutare fermamente e inequivocabilmente l’odiosa ideologia che gruppi come ISIL e Al Qaeda promuovono; e devono parlare senza peli sulla lingua contro non solo la violenza ma anche quelle interpretazioni dell’Islam che sono incompatibili con i valori della tolleranza religiosa, del mutuo rispetto e della dignità umana».

Obama ha aggiunto un’altra cosa: «Ma così com’è responsabilità dei musulmani in giro per il mondo respingere le idee malsane che portano alla radicalizzazione, è responsabilità di tutti gli americani – di ogni fede – respingere le discriminazioni. E’ nostra responsabilità respingere i test religiosi su chi ammettere nel nostro paese. E’ nostra responsabilità rigettare le proposte che i musulmani americani debbano in qualche modo essere trattati in modo diverso. Perché se dovessimo andare su questa strada, perderemo. Quel genere di divisione, quel tradimento dei nostri valori fa il gioco di gruppi come l’ISIL. I musulmani americani sono i nostri amici, sono i nostri vicini, i nostri colleghi di lavoro e i nostri eroi sportivi – e sì, sono musulmani anche le nostre donne e i nostri uomini in uniforme disposti a morire per la difesa del nostro paese: dobbiamo ricordarcelo». «Sono convinto che ce la faremo perché siamo dalla parte giusta», ha concluso Obama.  «Facciamo assegnamento sulla fede nella dignità umana – sulla convinzione che indipendentemente da chi sei, da dove vieni, da che aspetto hai, o da che religione pratichi, sei uguale agli occhi di Dio e uguale agli occhi della legge» (Text of Obama Speech From the Oval Office About Terrorism).

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