Sono diversi anni ormai che andiamo ripetendo (i soliti quattro gatti, ovviamente) che l’europeismo è il vero spartiacque, il discrimine fondamentale, della politica di oggi (segnalo un paio di vecchi articoli sull’argomento: Messaggero Veneto, 19 febbraio 2013 – Maran alla Cgil: «No a posizioni degli anni Cinquanta» – Formiche.net, 15 novembre 2015 – Sta nascendo un nuovo bipolarismo in Italia?).
Dai e dai, quell’idea si è fatta strada (“Ben scavato, vecchia talpa!” direbbe Marx riecheggiando Amleto). Lo testimonia il bellissimo editoriale di Giuliano Ferrara (“stregato dalla riemersione di una dimensione politica seria, rilevante, sulla linea che collega Parigi e Berlino”) sul Foglio del lunedì ( Tra Parigi e Berlino riemerge l’Europa come modello politico). E la “non vittoria” di Theresa May ci dice che l’anti-europeismo sta battendo in ritirata anche nella Gran Bretagna della Brexit.
A chi avesse ancora qualche dubbio su quale sia la scelta politica fondamentale che gli elettori di tutti i Paesi europei oggi sono chiamati a compiere, ieri nel suo commento a freddo sulle elezioni inglesi, Pietro Ichino ha suggerito la lettura dell’editoriale di Timothy Garton Ash su The Guardian e la Repubblica di mercoledì scorso.
“Alla vigilia delle elezioni politiche britanniche – scrive Ichino – il politologo dell’Università di Oxford constatava che la questione cruciale all’ordine del giorno è ancora l’alternativa tra (hard) Brexit e Remain, o almeno soft Brexit. Egli proponeva dunque agli elettori favorevoli al Remain, o almeno alla permanenza della Gran Bretagna nell’area europea di libero scambio e libera circolazione, come la Norvegia, i criteri in base ai quali scegliere, collegio per collegio, il più europeista tra il candidato Tory e quello Labour, e quando invece votare senz’altro per il candidato Lib-Dem, il più sicuramente europeista, perché i sondaggi lo davano in buona posizione. Come dire: non conta la vecchia bandiera del candidato, ma il suo orientamento sulla questione cruciale per il nostro futuro. Infatti oggi, a elezioni celebrate, in Gran Bretagna il conto principale è quello degli eletti europeisti e del tasso di anti-europeismo dei filo-Brexit. Ora torniamo per un momento a casa nostra: anche da noi la questione politica cruciale è, in ultima analisi, la stessa. Anche qui dalle scelte che compiremo nella prossima legislatura dipenderà se resteremo nel gruppo dei Paesi protagonisti della costruzione della nuova UE o ne resteremo ai margini. Ci potrà essere chi preferisce una declinazione più di sinistra o più di destra dell’una o dell’altra scelta fondamentale; ma alla fine ciò che conterà sarà se avranno vinto gli europeisti o i sovranisti. Questo, nella sostanza, essendo il nuovo bipolarismo, perché non impostare fin d’ora schiettamente su di esso il discorso politico, come ha fatto Macron in Francia sfidando tutti gli altri partiti a fare altrettanto e uscendone clamorosamente vincitore?” (UK E FRANCIA – 2. UNA LEZIONE PER L’ITALIA).
Il nuovo bipolarismo è questo, è inutile girarci attorno. E l’Europa di oggi – oggi che, come scrive Ferrara, “il sonno della ragione a Washington e a Londra, isole nella corrente, genera il mostro di una nuova Europa continentale intesa come soggetto della politica mondiale e modello di amministrazione e di governo” – non la si capisce se non si parte da qui.
Il che ha delle implicazioni. Anche per questo, aggiungo il commento sulle elezioni amministrative di Stefano Ceccanti: “Da ieri sera sembriamo tornati al bipolarismo tradizionale, con buona pace di quella classe dirigente che ha delegittimato il ballottaggio dell’Italicum perché credeva in un successo del M5S. Però anzitutto quest’impressione è anch’essa figlia del sistema elettorale che prevede il ballottaggio. Il problema però è che questo non è trasferibile sul piano nazionale. Non solo perché le regole sono diverse ma anche perché per ragioni politiche quelle coalizioni non sembrano al momento trasponibili.
Anzi, spostando le elezioni più avanti, col nuovo dialogo franco-tedesco che porterà a proposte di una Ue rafforzata, quello si imporrà ancor più come il tema chiave. Potrà Forza Italia allearsi con la Lega che chiede il referendum sul’Euro? Potrà il Pd allearsi con alcune delle forze alla propria sinistra che chiede lo smantellamento di riforme che ci potrebbero fuori dalla convergenza con gli altri Paesi Ue? Quindi non solo le diverse regole elettorali (che a questo punto non saranno cambiate e peraltro se si tentasse di cambiarle durante le legge di bilancio sarebbe una gara di ricatti incrociati) ma anche i problemi reali rendono difficilmente trasponibili quelle coalizioni che invece hanno senso sul piano locale”.