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La nuova Guerra dei Trent’anni del Medio Oriente

La Guerra dei Trent’anni (1618-1648) fu una delle guerre più lunghe e devastanti della storia europea. Iniziata come una guerra tra gli stati protestanti e quelli cattolici nel frammentato Sacro Romano Impero, divenne progressivamente un conflitto generale che coinvolse la maggior parte delle grandi potenze europee, perdendo sempre di più la connotazione religiosa e collocandosi nella prosecuzione della rivalità franco- asburgica per l’egemonia sulla scena europea. La guerra fu una catastrofe epocale, in particolare per i territori dell’Europa centrale e fu caratterizzata da gravissime e ripetute devastazioni di centri abitati e campagne, da uccisioni di massa, da operazioni militari condotte con spietata ferocia da eserciti mercenari spesso protagonisti di saccheggi, oltre che da micidiali epidemie e carestie.

Secondo molti osservatori, in Medio Oriente stiamo assistendo ad una sorta di Guerra dei Trent’anni. Lo sostiene, per esempio, Zbigniew Brezinski che ritiene ci siano numerose analogie «tra quel che sta succedendo nel Medio Oriente e quel che è successo in Europa, molti secoli fa, durante la Guerra dei Trent’anni, vale a dire l’ascesa della identificazione religiosa come il motivo principale dell’azione politica». C’è chi invece ritiene che la conclusione della Guerra dei Trent’anni potrebbe fornire un «modello» per la pace in Medio Oriente. Il vincitore del premio Pulitzer, Jack Miles, ha scritto che «la pace di Vestfalia del 1648 ha ridisegnato intere parti della mappa dell’Europa. La pace in Medio Oriente potrebbe fare altrettanto».

Ma, secondo Lorenzo Kamel, (responsabile di ricerca nel programma Mediterraneo e Medioriente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e research fellow al Center for Middle Eastern Studies (CMES) dell’Università di Harvard), le cose non stanno così. In altre parole, come recita il titolo dell’articolo che ha scritto su National Interest, «There Is No Thirty Years’ War in the Middle East». Infatti, secondo Kamel, sia la Guerra dei Trent’anni, sia le molte guerre per procura nel Medio Oriente di oggi testimoniano che la questione religiosa da sola può spiegare pochissimo. «Quattro secoli fa la Francia, gli Asburgo, i principi tedeschi (la cui conversione ha avuto poco a che fare con la teologia e moltissimo con l’affermazione del loro potere) e altri attori regionali si scontrarono per ragioni molto pratiche. Lo stesso vale per il Medio Oriente di oggi, dove le fratture e le lotte settarie hanno molto a che vedere con l’economia, gli effetti a breve e a lungo termine del nazionalismo, e le attuali dinamiche politiche».

A tale proposito, la decisione di rovesciare il regime di Saddam Hussein nel 2003 e, più recentemente, il mancato intervento degli Stati Uniti in Siria, sono stati percepiti dall’Arabia Saudita come un aiuto indiretto alle strategie dell’Iran. Di conseguenza, negli ultimi cinque anni Riyadh ha investito un’enorme quantità di risorse contro l’ascesa di qualunque governo o partito che, nel mondo arabo, potesse rappresentare una alternativa credibile al «modello Saudita». Ciò spiega anche la decisione di Riyadh di sostenere l’esercito egiziano nel colpo di stato contro l’ex presidente islamista Mohamed Morsi. In questo senso, sottolinea ad esempio Kamel, «la prosecuzione delle molte guerre per procura del Medio Oriente, dovrebbe essere messa in relazione alla crescita del ruolo dell’Iran nella regione». Da leggere (There Is No Thirty Years’ War in the Middle East | The National Interest).

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