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Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili. Il mio intervento in aula

Legislatura 17ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 572 del 04/02/2016

MARAN (PD). Signora Presidente, colleghi, vi dico la mia opinione. Non possiedo, ovviamente, verità rivelate e indiscutibili, ma se guardo a quel che accade intorno a noi mentre prosegue la nostra discussione, che cosa vedo? Vedo che il mondo occidentale è attraversato da un movimento tellurico, da un terremoto paragonabile, per intensità ed effetti, al processo che nella prima metà del secolo scorso ha portato alla piena cittadinanza femminile. Oggi, in tutto l’Occidente, il riconoscimento pubblico del diritto degli omosessuali a vivere in piena libertà la loro sessualità e la loro relazione di coppia è all’ordine del giorno e dappertutto lo è anche il riconoscimento della loro capacità di costituire un luogo di intimità, solidarietà, amore – in altre parole, una famiglia – che non esclude la presenza di bambini da crescere e da educare.

In molti Paesi si è passati dalla legalizzazione delle unioni civili all’accesso egualitario al matrimonio. In Irlanda si è celebrato addirittura un referendum costituzionale e la Corte suprema degli Stati Uniti nel giugno scorso ha deciso che le leggi statali che vietano il matrimonio gay sono incostituzionali in base al quattordicesimo emendamento della Costituzione americana, quello sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Una sentenza, quella della Corte suprema, che ancora una volta si è presa la responsabilità di cambiare volto alla civiltà occidentale e che consiglio di leggere, perché ci dice che la visione umanistica cattolica non è l’unica possibile. Ci sono altre visioni umanistiche possibili non meno ricche, non meno profonde, come quella che vede nella famiglia una realtà preziosa e forte proprio perché è capace di cambiare e di aprirsi ad esperienze vitali nuove. È questo che dà forza e legittimazione al mutamento di opinione, ormai maggioritario e irresistibile in tutti i Paesi occidentali, a favore delle unioni dello stesso sesso.

La storia del matrimonio è una storia di continuità e di cambiamento, una realtà che è cambiata col cambiare del ruolo e dello status della donna. Sono cambiamenti che hanno rafforzato e non indebolito l’istituzione familiare.

Le decisioni che riguardano il matrimonio – a partire dalla decisione se e con chi sposarsi – sono tra le più intime che un individuo può prendere, tra le più importanti nella nostra autodefinizione. Quelle scelte formano il nostro destino individuale e due persone insieme, come sottolinea la Corte suprema degli Stati Uniti, possono trovare in quel legame, comunque lo si chiami, altre libertà (l’espressione, l’intimità, la spiritualità) e ciò è vero per tutte le persone, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

Su questo sfondo, la situazione italiana appare ormai decisamente anomala. Mentre si allarga sempre più il fronte dei Paesi che riconoscono il matrimonio, l’Italia non ha ancora neppure una regolamentazione delle unioni. Non nego che la gradualità sia necessaria; rispetto alla situazione internazionale il disegno di legge di cui discutiamo è, infatti, una soluzione di compromesso e si colloca in un punto piuttosto moderato rispetto alle leggi degli altri Paesi: non c’è il matrimonio egualitario e non ci sono le adozioni.

L’adozione del figlio del partner da parte dell’altro è solo una norma di buon senso che mira a garantire a bambini che già vivono nella coppia la continuità affettiva. Si obietta che la stepchild adoption sarebbe un incoraggiamento alla maternità surrogata, vietata in Italia ma legale in molti altri Paesi. Tuttavia, le famiglie omogenitoriali esistono e questa è una norma fatta per proteggere i bambini che ci sono già. Non per caso esiste già una giurisprudenza che si sta consolidando e se la norma non passasse in Parlamento, ci penserebbero i giudici, caso per caso o con un rinvio alla Corte costituzionale.

L’utero in affitto è proibito dalla legge n. 40 del 2004 e non è toccato dal progetto in discussione. Inoltre, per quanto si possa essere contrari alla maternità surrogata, porre il peso di questa disapprovazione sulla legge per le unioni civili è del tutto insensato, visto che sono soprattutto le coppie eterosessuali a farvi ricorso. Si vogliono mettere degli ulteriori paletti? D’accordo, ma attenzione: è del tutto irrealistico proporre di trasformare la surrogacy in un crimine perseguibile anche quando commesso all’estero. Metterla al bando è una figura retorica, posto che in Europa non c’è un quadro unitario e non ci sono le basi giuridiche per costruirlo: nel diritto di famiglia gli Stati membri hanno ampia autonomia, basta pensare alle differenze nel regime della procreazione assistita, come sappiamo. In termini reali significa tornare alla discriminazione dei nati in base alla forma del loro concepimento, cosa che ripugna alla nostra coscienza giuridica e morale.

Se volessimo davvero scoraggiare la maternità surrogata, dovremmo prevedere la possibilità della piena adozione anche per le coppie omosessuali, come avviene in molti Paesi di solida civiltà giuridica.

Se invece si dice che il bambino deve avere una mamma ed un papà, allora la questione è un’altra: non è in discussione la maternità surrogata, ma la genitorialità di gay e lesbiche. Quel che si rifiuta è la possibilità stessa che le coppie omosessuali possano essere buoni genitori. Questa resistenza è probabilmente l’indice che misura più fedelmente le idee e i pregiudizi che abbiamo in merito all’omosessualità. Parlo di pregiudizi perché è ormai reperibile una mole consistente di ricerche scientifiche che, sulla base delle esperienze in Nord America ed Europa, dimostrano come i bambini cresciuti in famiglie omosessuali siano mentalmente sani e socialmente integrati quanto quelli cresciuti in famiglie eterosessuali. Parlo di pregiudizi perché nel momento in cui riconosco che l’omosessualità non è una patologia, né una malattia, se non consideriamo più immorale l’intimità tra due persone dello stesso sesso e se questa convinzione non è più, come in passato, incarnata dalla legge penale, allora devo ammettere all’interno della mia cultura una variante di sistema familiare che non è la mia, quella in cui sono cresciuto.

Lo Stato deve accordare rispetto ad interessi così fondamentali della persona. Si tratta di un diritto che dà dignità alle coppie che, per usare le parole della Corte suprema, «desiderano definire se stessi attraverso l’impegno verso l’altro»; un diritto che risponde alla paura universale che una persona sola possa chiamare aiuto solo per scoprire che lì accanto non c’è nessuno; un diritto che offre la speranza di una compagnia, della comprensione e dell’assicurazione che, mentre entrambi ancora vivono, ci sarà qualcuno ad occuparsi dell’altro.

Aggiungo che pensare di arginare la forte spinta al riconoscimento delle coppie omosessuali è un’illusione. L’Italia non è un luogo chiuso e separato e vive necessariamente le stesse dinamiche degli altri Paesi occidentali. Le trasformazioni della famiglia che nell’ultimo secolo, proprio in conseguenza del mutato ruolo sociale delle donne, hanno interessato tutti i Paesi dell’Occidente coinvolgono necessariamente anche il nostro Paese ed è vano pensare di ignorarle. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).

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