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Seduta del 2 dicembre 2015 – Informativa del Governo sull’evoluzione della crisi in Medio Oriente

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Maran. Ne ha facoltà.

MARAN (PD). Signor Presidente, signor Ministro, abbiamo molto apprezzato la sua disponibilità a riferire in Parlamento e anche l’ostinazione con la quale si adopera per non incrinare le dinamiche diplomatiche, in Siria come in Libia; con la quale si adopera per coinvolgere la Russia, per favorire i rapporti diretti tra Russia e la Turchia e per rafforzare e rendere più coesa la coalizione anti-ISIS.

Dopo anni di stagnazione autoritaria, il Medio Oriente ha cominciato a muoversi. L’ascesa dell’islam radicale; l’invasione dell’Iraq e le sue conseguenze, che tutti sembrano aver dimenticato, anche quanti – ho sentito qualche intervento precedente – hanno sostenuto l’invasione; il risveglio delle primavere arabe; le repressioni sanguinose e ora un calo sostenuto del prezzo del petrolio e il successo del negoziato nucleare con l’Iran, hanno aperto quella che potrebbe rivelarsi una nuova e tormentata era per tutti coloro che vi sono coinvolti. E con questo noi dovremmo avere a che fare per un pezzo.

In Siria – ad esempio – qualcosa si può fare solo se si prende atto di come stanno le cose. Il nostro interesse è di eliminare o contenere i due pericoli che stanno diventando metastasi: l’ISIS, la cui crescita minaccia la regione e ora le nostre città, e la tragedia dei rifugiati siriani, che stanno inondando il Libano e la Giordania e che di questo passo possono destabilizzare l’Unione europea. Ma non c’è ragione di credere che l’approccio di chi in queste occasioni non fa che urlare «puntare, mirare, fuoco» possa funzionare meglio di quanto abbia funzionato in Iraq o in Libia. Senza contare che un’alleanza contro l’ISIS è più facile a dirsi che a farsi, come abbiamo visto.

Come prova lo scontro tra Russia e Turchia e come Kerry ha dovuto constatare, ad eccezione della Francia e degli Stati Uniti, nessuno dei diversi attori coinvolti ritiene che la priorità sia quella di occuparsi dell’ISIS. L’Iran, il Governo di Baghdad e la Russia sono più interessati a preservare Assad che a combattere il terrorismo. D’altra parte, la Turchia e l’Arabia Saudita sono interessate a rimuoverlo, senza contare che i sunniti, la maggioranza dei musulmani, non vogliono finire sotto il dominio degli sciiti appoggiati da Mosca. Quindi, anche dopo il terribile attacco terroristico, quello che davvero farà la differenza – oltre agli sforzi per bloccare la capacità di finanziarsi dello Stato islamico, le sue linee di rifornimento e i rinforzi, per rendergli più difficile conservare il controllo del territorio -, sarà solo la soluzione diplomatica della guerra civile siriana, che ha creato il vuoto riempito dallo Stato islamico.

Mandare un significativo contingente di truppe di terra a combattere lo Stato islamico non farebbe che ripetere quello che giustamente Obama considera l’errore dell’invasione dell’Iraq nel 2003, senza risolvere il problema che abbiamo di fronte. Ciò sarebbe un errore – ha detto Obama in Turchia – non perché il nostro esercito non sarebbe in grado di entrare a Mosul, Raqqa, a Ramadi, e sloggiare l’ISIS, ma perché vedremmo una replica di quanto abbiamo già visto. La vittoria sui gruppi terroristici – ha rimarcato – richiede che siano le popolazioni locali a respingere l’ideologia dell’estremismo, a meno che non pensiamo di occupare quei Paesi permanentemente. Supponiamo – ha aggiunto – di mandare 50.000 uomini in Siria: che succederebbe se ci dovesse essere un attacco terroristico concepito dallo Yemen? Mandiamo soldati anche lì? O li mandiamo poi in Libia? E, se c’è una rete terroristica che opera da qualche altra parte, in Nord Africa o in Asia Sudorientale, li mandiamo anche lì?

Dopo gli attacchi a Parigi comincia, invece, a farsi strada la consapevolezza tra i principali protagonisti (USA, Russia, Iran, Turchia, gli Stati arabi del Golfo) che, sebbene il sogno dell’ISIS di restaurare il califfato resti fuori dalla portata del gruppo, la prosecuzione del conflitto in Siria rischia pericolosamente di rafforzare l’ISIS stesso e accelerare la diffusione della sua ideologia estremista. Ma i diversi protagonisti del conflitto devono anche arrivare a rendersi conto che la loro personale ricetta per risolvere la crisi siriana è probabilmente impraticabile. Per gli Stati Uniti e i suoi alleati del Golfo continuare a sostenere il regime change attraverso i ribelli siriani, che sono infiltrati in modo crescente dall’ISIS, appare sempre più improduttivo e discutibile dal punto di vista operativo. Allo stesso tempo, dopo più di quattro anni di stallo militare, è chiaro che il continuo sostegno dell’Iran ad Assad ed il recente intensificarsi dell’aiuto russo al regime possono solo aiutare a mantenere le cose come stanno, ma non possono spostare la situazione in modo decisivo a favore di Assad. Tanto Teheran che Mosca sembrano capire che, a dispetto del loro sostegno, il regime di Assad è più debole che mai e sarà impossibile ricostruire uno Stato siriano unitario governato esclusivamente dal regime. Per queste ragioni principalmente, sia l’Iran che la Russia hanno mostrato di recente una certa disponibilità ad esplorare la possibilità di un accordo negoziato.

Signor Ministro, lei ha ragione: questa è una strada che va percorsa fino in fondo. L’accordo nucleare con l’Iran ha dimostrato il potenziale della diplomazia per risolvere e addomesticare le crisi regionali. Un conto è associare la Russia e un altro paio di maniche, come fanno i conservatori alla ricerca di un punto di riferimento, è fare di Putin improvvisamente il salvatore della democrazia e della cultura cristiana, l’ultimo baluardo contro l’invasione islamica. Al fondo, questa è una posizione che tradisce non la disponibilità a costruire la pace insieme ad altri, ma il desiderio di essere lasciati in pace. Noi vogliamo costruire la pace e restiamo fedeli all’impostazione della seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione. E sappiamo che l’Italia è tutt’altro che riluttante e assente, e siamo certi che farà la sua parte. (Applausi dal Gruppo PD).

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