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Il Piccolo, 29 ottobre 2015 – Il futuro di Gorizia passa per il rilancio dell’impresa

Vale la pena, dopo l’inchiesta sul futuro di Gorizia condotta dal Piccolo, di tornare sul rapporto di ricerca realizzato dall’Ires Fvg sull’economia del Gect go che, non molto tempo fa, ha messo a fuoco le sfide che abbiamo di fronte. Tra i molti dati presentati nel rapporto statistico dell’Ires, uno è particolarmente significativo: a Gorizia il 62 per cento del lavoro nei settori ad alta intensità di conoscenza appartiene al terziario di emanazione pubblica, mentre il numero di imprese, anno dopo anno, continua inesorabilmente a calare. Dovrebbe bastare a convincerci che serve un’inversione di rotta.

Certo, c’è ancora chi pensa di risolvere la questione dell’occupazione attraverso la difesa ad oltranza e il rafforzamento di settori di attività come le amministrazioni statali e locali, il tribunale, la sanità, l’istruzione, l’assistenza, le società partecipate e così via. Ma come si fa a non vedere che le criticità risiedono altrove, ossia nella drammatica incapacità di attrarre capitali e investimenti privati? Il problema più importante della città è la pressoché inesistente vocazione ad attrarre nuove professionalità tecniche e imprenditoriali che contribuiscano a rilanciare il territorio, anche sotto il profilo culturale. Questa è la vera sfida. E richiede decenni, non qualche anno.

Nelle interviste si è parlato soprattutto di teatri, di iniziative culturali, di università. Qualcuno, addirittura, ha evocato un’improbabile Oxford isontina. Tutte cose giuste, per carità (e non c’è dubbio che bisogna puntare sul Polo universitario), ma fino a che punto può essere sostenibile una politica di ampliamento dei servizi e degli intrattenimenti, ancorché di rilievo, in un centro economicamente non attrattivo? Se vogliamo partire dalle fondamenta, una seria proposta di rilancio dovrebbe incentrarsi sulla dimensione della competitività imprenditoriale, partendo dalla valorizzazione delle aziende che, in tutta l’area transfrontaliera, dimostrano in qualche modo di sopravvivere alla crisi economica. Se guardiamo non solo a Gorizia, ma a tutta l’area integrata del Gect Go, si nota (come peraltro evidenzia la ricerca) la persistenza strutturale di settori manifatturieri come il metalmeccanico, la fabbricazione di prodotti informatici, elettrici ed elettronici e la produzione alimentare ed enogastronomica. Questi settori, attualmente, ospitano filiere produttive reali e potenziali che potrebbero essere sviluppate ulteriormente in una logica di rete e consolidamento del network collaborativo interconfinario, individuando le progettualità innovative in accordo con i titolari, manager, soci e proprietari delle imprese più solide e trainanti sul mercato. È direttamente dagli attori economici, infatti, che possono provenire idee e proposte riguardanti nuove start-up, il rafforzamento di attività esistenti e il completamento della catena del valore all’interno delle nicchie imprenditoriali già insediate nel territorio transfrontaliero. E la programmazione comunitaria, una volta tanto, potrebbe fornire i finanziamenti necessari al decollo di tali progettualità e all’avvio di un circolo virtuoso in grado di attrarre, nel corso del tempo, un po’ di capitali e professionalità esterne.

In parole povere, Gorizia deve piantarla di guardarsi allo specchio per aprirsi al territorio circostante, a cominciare da quello della più competitiva Nova Gorica. Il che significa associare all’idea del lavoro quella dell’impresa. Secondo una concatenazione virtuosa inevitabile: impresa-occupazione-reddito-consumi. Il lavoro lo crea l’impresa, non lo Stato. Dovremmo saperlo meglio di altri: decenni di provvidenze e di rendite non hanno creato strutture durevoli. E oggi occorre, semmai, ridurre il peso dell’interposizione pubblica nella vita della gente e delle imprese. Sono passati ormai 25 anni dal crollo del muro di Berlino e dalla rivoluzione informatica che ha cambiato il modo di produrre, di vivere, di lavorare di tutti noi. E’ tempo di abbandonare le vecchie trincee e badare agli aspetti su cui si fonderà il futuro.
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