GIORNALI2008

Messaggero Veneto, 9 settembre 2008 – Una nuova leadership

Per organizzare la rivincita ci vorrà tempo. Specie se si considera che la fase di riflessione che si è aperta localmente finirà inevitabilmente per intrecciarsi con la discussione in corso a livello nazionale. Ma non dobbiamo cedere al fatalismo: anche se oggi le probabilità sono contro di noi, continuo a pensare che possiamo vincere le prossime elezioni. Com’è stato detto, il punto di partenza non è discutere di personalità, ma di quel che siamo riusciti a fare e di quel che non abbiamo saputo o potuto realizzare; della nostra visione del futuro e di come metterla in pratica.
E per fare arrivare il nostro messaggio dobbiamo essere più umili circa i nostri errori (che ci sono stati), ma anche più capaci di suscitare interesse sui risultati che abbiamo raggiunto. Certo, per conto mio e tanto per fare un esempio, avremmo dovuto mettere mano meglio e con più decisione alla macchina burocratica regionale, dismettendo ogni funzione che altri soggetti pubblici o privati possono organizzare meglio; avremmo dovuto investire di più sulle persone cercando di disegnare il welfare e la sanità sulla base delle esigenze di chi ne usufruisce, non solo di chi ci lavora. Ma cinque anni di crescente prosperità non sono venuti per caso. Dopo tutto, la destra si è opposta a quasi tutte le misure che hanno fatto la differenza, dalla legge sull’innovazione agli interventi nell’industria, nell’artigianato, nella cooperazione, nel commercio, nel turismo; dai provvedimenti sugli asili nido aziendali a quelli sulla sicurezza sui posti di lavoro. E ora che cosa stanno offrendo? La destra mette l’accento su quello su cui è contro perché non sa per cosa è a favore. Non sono stato sempre d’accordo con Riccardo Illy, ma non c’è dubbio che egli sia stato un presidente di valore, sinceramente impegnato nel progetto di modernizzazione della Regione. Un imprenditore che non è a suo agio con la destra perché non è un conservatore. Voleva il cambiamento ed era pronto a prendere decisioni impopolari per ottenerlo.
Il problema con Renzo Tondo è l’opposto: è un conservatore, non un radicale. Non condivide l’urgenza del cambiamento. È una persona piacevole e qualche volta è difficile non essere d’accordo con lui, ma è un politico dello statu quo, non del cambiamento. Quali sono gli obiettivi del partito di Tondo? Qual è la sua visione della Regione? Non ne ha una. Il suo progetto è rassicurare quel terreno di continuità, quegli ancoraggi sociali e culturali un tempo rappresentati dal vecchio «pentapartito», non cambiare la regione. Da qui il suo pragmatismo apparentemente realista e la scelta di privilegiare la mediazione politica. È fermo, inceppato. Ma i tempi chiedono una nuova fase. Oggi la sfida economica è nuova. La gente vuole protezione da una crisi che può nascere a Wall Street o a Tbilisi. E l’economia dei servizi – assicurazioni, assistenza, educazione, industria creativa – che sta crescendo nel paese cresce anche tra le nuove classi medie indiane e cinesi.
Anche la sfida per l’amministrazione pubblica è nuova. Il compito del governo regionale dopo il 2003 fu una missione di salvataggio. Non è trascorso molto tempo, eppure oggi si tende a dimenticare la profonda crisi del sistema regionale: governi regionali brevi e instabili; assessorati che ruotavano in continuazione, per cui era difficilissimo lavorare e attribuire meriti e demeriti a persone o partiti; un consiglio pletorico che si occupava di tutto, non controllava nulla e discuteva spesso di cose di scarsa attinenza col governo locale. La situazione oggi è cambiata mediante governi regionali di legislatura legittimati direttamente dai cittadini attraverso l’elezione diretta del presidente della Regione e della sua maggioranza, che la destra ha contrastato. E adesso abbiamo bisogno di immaginazione per distribuire più potere e controllo ai cittadini sulla sanità, sull’educazione e sui servizi sociali che ricevono. Una sfida che riguarda anche la società regionale, perché si tratta di costruire un genuino senso di appartenenza e di responsabilità fondato su una maggiore protezione dai rischi esterni e su un maggior controllo sulle questioni locali.
Ma se oggi famiglie e imprese devono assumersi responsabilità crescenti, abbiamo bisogno che il governo agisca come catalizzatore. Sia capace, cioè, di esercitare un influsso determinante su una linea di condotta di cui già esistono le necessarie premesse. Un esempio: nell’ultimo decennio, negli altri paesi sviluppati l’incremento dell’occupazione femminile ha contribuito alla crescita globale più dell’intera economia cinese. Il lavoro delle donne è un fattore decisivo di crescita perché garantisce più ricchezza alle famiglie, crea altro lavoro nel settore dei servizi e significa anche meno culle vuote e meno bambini poveri. In Italia, in cui lavora solo il 46% della popolazione femminile, ci sono troppe donne a casa, troppe culle vuote e troppi bambini poveri: un circolo vizioso che impedisce all’Italia di crescere. Nel resto dell’Occidente, le donne che hanno un impiego e che sono aiutate a conciliare impegno professionale e vita domestica sono quelle che mettono al mondo più figli e che sono in grado di garantire loro buona educazione, tranquillità economica e un avvenire più sicuro.
Possiamo farcela anche noi, ma solo a patto di cambiare mentalità e ricalibrare il nostro welfare. Il governo regionale ha il coraggio di raccogliere questa sfida? Quando si governa, o si è capaci di scegliere o a scegliere saranno altri. Credo davvero che soltanto le convinzioni politiche del Pd, che combina azione di governo e libertà personale, possano ottenere quegli obiettivi che ora la destra si vanta di condividere. Il centro-sinistra nel 2003 ha vinto le elezioni regionali offendo un reale cambiamento, non solo nelle politiche, ma anche nel modo di fare politica. Dobbiamo rifarlo di nuovo. Smettiamola perciò di essere dispiaciuti per noi stessi e ritroviamo la fiducia per dimostrare daccapo la giustezza delle nostre tesi. Il congresso che verrà (e che Veltroni avrebbe dovuto convocare subito) sarà un passo importante, specie se saranno tanti i cittadini che avranno scelto di aderire al nuovo partito. Ma la possibilità di contare su una piattaforma di cambiamento si gioca attorno alla questione della leadership, cioè attorno alla possibilità di impostare una competizione di idee e di visione per la guida del nuovo partito. Per capirci, quando Gordon Brown ha lanciato la sua leadership, la candidatura per la leadership del Labour party, ha detto una cosa molto semplice: «Le sfide che oggi abbiamo di fronte sono diverse dal passato e senza precedenti. Per questo anche noi dobbiamo cambiare. Se le sfide sono diverse, anche il nostro programma dovrà essere diverso. E, per un tempo nuovo, c’è bisogno di una nuova leadership».
Dipende da noi migliorare le cose. Provando, anche in Friuli, a vedere il mondo con occhi diversi.

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