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«Non cambi l’Italia se non cambi la testa degli elettori del Pd

Matteo Renzi ha detto di voler tornare alle origini, al politico movimentista, simbolo del cambiamento che portò il Pd al 40,8 per cento delle Europee (Il premier: “Devo tornare il vero Renzi e voglio riprendermi il partito”). In altre parole, Renzi deve tornare ad essere Renzi. Specie se si considera che il governo è impegnato nel «momento più delicato della legislatura», come ha spiegato ieri il premier all’assemblea del gruppo parlamentare della Camera. «Ma quando ci sono difficoltà – ha aggiunto – quelli bravi le superano». Resta il fatto che Renzi ha annunciato che la riforma della scuola sarà rinviata e con essa l’assunzione dei 100 mila precari. Vedremo come andrà a finire.  Ma dopo l’insuccesso di Luigi Berlinguer di 15 anni fa e quello probabilissimo della Buona Scuola, dobbiamo concludere che la scuola italiana è irriformabile? Di più, dobbiamo concludere che le elezioni parziali mettono in stallo il tentativo di rinnovamento che Renzi punta ad esprimere?

Claudio Cerasa lo ha scritto più volte: «se Renzi non si occupa del partito prima o poi sarà il partito a occuparsi di lui». E alla fine le cose sono andate come dovevano andare. Oggi il direttore del Foglio torna sul punto decisivo: non si può cambiare l’Italia senza prima cambiare il Pd. E Renzi «più che di un Nico Stumpo avrebbe bisogno di un Jim Messina, formidabile uomo chiave della macchina e della propaganda di Obama prima, e dei conservatori inglesi oggi». «La forza di Renzi – insiste Cerasa – è quella di essere un leader che si trova a suo agio con il voto d’opinione ma per cambiare il paese non basta quello, tocca prima cambiare le teste del Pd» (Cervelli, non muscoli).

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