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Comincia il divorzio dalla UE

Per completare il ritiro del Regno Unito dall’Unione europea ci vorranno due anni. Ma dall’altro ieri è cominciato il conto alla rovescia. Ora che il governo inglese ha notificato formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare l’Unione Europea, il Regno Unito ha superato il punto di non ritorno. Potrebbe rivelarsi il più grande atto di autolesionismo nella storia politica moderna. Contrariamente a quel che il ministro degli esteri inglese Boris Johnson ha promesso, il Regno Unito non potrà, infatti, avere la botte piena e la moglie ubriaca. Stando a Dalibor Rohac dell’American Enterprise Institute “Ninety-six percent of economists agree that a Brexit would have substantial economic cost to the U.K. economy“. Senza contare che il resto dell’Unione è deciso a far capire chiaramente a tutti che lasciare il club ha delle ovvie ripercussioni negative.

In questo senso, attivando l’articolo 50 del trattato di Lisbona, il Regno Unito ha scelto di rinunciare a buona parte del controllo sul suo futuro economico. I nuovi accordi commerciali sono di là da venire (ed incerti) ed inoltre le forze centrifughe di un rinvigorito sciovinismo stanno cominciando a sfidare la storica unione tra Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Insomma, il risultato è che il Regno Unito è destinato a perdere influenza sulla scena mondiale; e così, anziché “riprendere il controllo”, come hanno garantito i sostenitori della Brexit, il Regno Unito perderà buona parte della sua autonomia nelle questioni finanziarie ed economiche. Dopo tutto, i maggiori ostacoli ad una vera “global Britannia” non sono le tariffe commerciali ma le barriere e le regole non tariffarie, che richiedono l’armonizzazione con i partner commerciali oppure il mutuo riconoscimento. Da questo punto di vista, il mercato unico europeo è stato l’esperimento più ambizioso della storia economica.

Lasciandolo, il Regno Unito sta rinunciando al suo posto alla tavola europea e perciò non potrà più influenzare il processo decisionale futuro nel suo più importante mercato di sbocco; e ovviamente, non potrà plasmare i futuri standard regolatori globali. Inoltre, voltando le spalle all’unione doganale, sarà destinato ad un introdurre nuove barriere al commercio.

In aggiunta, lasciando l’Unione Europea, il Regno Unito perderà anche influenza sulla politica estera europea e perciò vedrà il suo peso globale declinare ulteriormente. Anche la sua cosiddetta “relazione speciale” con gli Stati Uniti si reggeva sulla speranza che il paese servisse come un ponte tra Washington e il resto dell’Europa. Ora, perfino quell’illusione è andata in pezzi. Il sogno dei Brexiteers di un Regno Unito che reclama il suo posto di leader del Commonwealth delle nazioni di lingua inglese – quello che i funzionari del nuovo Dipartimento del Commercio internazionale del paese chiamano, senza nessuna traccia di ironia, “Empire 2.0” – è assurdo per la semplice ragione che nessuno lo vuole.

È probabile che il Regno Unito cerchi di ingigantire il suo peso negli affari internazionali attraverso il suo ruolo nella Nato, ma l’aperta ostilità del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e della sua amministrazione nei confronti dell’Alleanza atlantica, rende ancora più fragile questo disegno già poco credibile. Infine, optando per una Brexit “dura” – che significa lasciare sia l’unione doganale che il mercato unico -, contro i desideri espliciti delle popolazioni della Scozia e dell’Irlanda del Nord, gli elettori inglesi hanno gettato un’ombra sul futuro prossimo dello stesso Regno Unito. Oggi, l’indipendenza della Scozia è più verosimile che nel 2014, ed il possibile ritorno di un confine rigido tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda ha reso il sogno di una Irlanda unita – come immaginato dal Partito repubblicano irlandese Sinn Fein -, molto meno implausibile di quel che sembrava una volta.

Secondo Matthias Matthijs, che insegna politica economica alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins, il Regno Unito tra pochi anni potrebbe esistere solo come “il vecchio Regno Unito di Inghilterra e Galles” con lo sfortunato acronimo di FUKEW. Il primo ministro Theresa May ha ora davanti a se un compito difficile: rimarginare le ferite di una nazione divisa cercando al tempo stesso di condurre il paese fuori dall’Unione europea in maniera indolore. Ma non sarà facile.

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