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CON RENZI ROTTAMIAMO I TABÙ ITALIANI – Messaggero Veneto, 12 marzo 2017

Si è detto che chi lascia il Pd lo fa per salvarsi il posto e che D’Alema vuole vendicarsi di Renzi perché non è diventato commissario europeo, ma non é vero. Anche «personalizzare» su Renzi (se dovesse perdere, allora rientrano tutti) non è che un pretesto.

Il vero motivo della scissione sta, in realtà, in un radicale dissenso sulla natura del Pd. Sono sempre esistite due sinistre e tuttora ci sono due punti di vista diversi su cosa sia la sinistra in Italia (e non solo in Italia). Per D’Alema e Bersani, doveva essere l’ennesima metamorfosi del Pci, a cominciare dalla forma-partito, basata sulla mediazione al «centro» piuttosto che sulla competizione tra proposte alternative, e su un gruppo dirigente sostanzialmente inamovibile, che si rinnova lentamente e solo per cooptazione. È, appunto, lo schema sul quale si è sempre retto il Pci: un gruppo dirigente addensato al centro (Berlinguer) e posizioni tollerabilmente eterodosse verso destra (Napolitano) e verso sinistra (Ingrao) che venivano sintetizzate dal gruppo dirigente centrale. Renzi ha avuto il merito storico di prendere sul serio il nuovo modello di partito voluto da Veltroni e di farlo vivere non solo negli statuti, ma nella prassi quotidiana. Un modello aperto e competitivo che si fonda su due principi, vocazione maggioritaria e contendibilità di tutte le cariche, e che D’Alema e soci considerano a tal punto inaccettabile da tentare, con la scissione, di farlo a pezzi.

La scissione ha, dunque, a che fare con l’identità stessa della sinistra italiana. Non c’è dubbio, infatti, che Matteo Renzi abbia ripreso le idee-chiave della sinistra liberale e che con queste idee abbia sfidato la vecchia «ditta». Del resto, se oggi l’Italia cresce meno degli altri paesi non è perché il Pd non è unito, ma perché non è sufficientemente attrezzato per dare all’Italia la spinta che servirebbe sulle riforme pro-mercato per accrescere produttività e concorrenza. Il segretario dimissionario ha trascinato il Pd nel solco della tradizione liberale e ha cercato di raccogliere i voti degli elettori attraverso il superamento di una serie di tabù che per decenni hanno immobilizzato la sinistra italiana. Una parte della sinistra del partito considera, tuttavia, la trasformazione renziana, un tradimento dei valori tradizionali della sinistra «autentica». Insomma, il Pd vuole esprimere la sinistra riformista di governo. Il che significa che il suo obiettivo essenziale è quello di governare e che, in questo modo, vuole rendere efficace e democraticamente verificabile la propria azione. L’obiettivo di quanti dicono di voler cacciare Renzi è invece quello di disfare un partito così combinato e l’idea stessa di una «sinistra di governo» per tornare a una sinistra che mette al di sopra di tutto la propria «integrità»; che si affida, cioè, alla «identità» e rifiuta di assumere il governo come terreno di verifica della propria azione. Il che, ovviamente, nega la possibilità stessa del riformismo.

Non per caso, al contrario di quel che hanno fatto Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schröder, rompendo tabù e cinghie di trasmissione (a cominciare dal sindacato), rinunciando alla rendita di consolidati bacini elettorali e mettendo in discussione le vecchie identità, nel Pd l’ala veterostatalista ha preso il sopravvento e ha scelto di usare la crisi finanziaria e politica per tornare alle vecchie certezze sul ruolo dello stato in economia, sulle modalità di regolamentazione del mercato del lavoro e su parecchie altre cose. Ed è stato Renzi, in questi anni, a ridare alla sinistra la possibilità di liberarsi dalle catene del post comunismo. Resto convinto che la sinistra (soprattutto in Italia) abbia bisogno di una «rivoluzione riformista» e non di una «rivoluzione socialista». Per questo, ho appoggiato il progetto innovativo di Veltroni, ho sostenuto lo sforzo riformatore di Monti e, per le stesse ragioni, ho visto nell’ascesa di Renzi alla guida del Pd un antidoto all’immobilismo anti-riformista del Pd di Bersani.

Se essere di sinistra significa, come credo, avere a cuore la condizione dei più deboli, allora è di sinistra una politica che aiuti gli ultimi a migliorare la propria situazione, scardini le posizioni di rendita. E la sinistra dovrebbe intestarsi la battaglia per l’inclusione sociale, il progresso e la creatività. Ho preso la tessera del Pd per appoggiare Matteo Renzi. Non per rottamare le persone, ma per rottamare i tabù del paese.

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