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Verso la Prima Repubblica?

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«Ho perso, il mio governo finisce qui». Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni dopo la netta sconfitta al referendum costituzionale (https://m.youtube.com/watch?v=k9dNw94QvhM).

Dunque, ora Renzi si fa da parte e passa la palla ai sostenitori del No (Bersani, Brunetta, Di Maio e compagnia). Come ha annunciato nel suo discorso di ieri sera: «A loro competono oneri e onori, a loro compete la possibilità di avanzare proposte per la legge elettorale».

Sul significato, i dettagli del voto e le sue conseguenze, discuteremo, ovviamente, per un pezzo. Ma un paio di cose mi sembrano chiare.

Resta in vigore il vecchio assetto costituzionale. Il Senato (con il CNEL, naturalmente) sopravvive con le sue vecchie funzioni e il Governo continuerà a dipendere dalla sua fiducia. E, come scrive oggi Pietro Ichino, «poiché Forza Italia e M5S oggi preferiscono un sistema proporzionale, è probabile che questo finisca coll’essere l’esito». In altre parole, «dopo quarant’anni di sistema politico consociativo fondato su di un sistema elettorale proporzionale, e un quarto di secolo dedicato al tentativo di dar vita a un sistema di democrazia dell’alternanza (azzoppato dal bicameralismo concepito per assicurare un sistema consociativo), sembra che siamo tornati al punto di partenza» (THE DAY AFTER – 4. GLI EFFETTI SUL SISTEMA ELETTORALE). Lo ricorda oggi anche El País:«Renzi solía recordar que su Gobierno era el número 63 en 70 años de democracia. Italia tendrá que buscar ahora a su jefe de Gobierno número 64 en solo siete décadas» (Referéndum en Italia | Matteo Renzi pierde el referéndum, según…). Senza contare che nella prossima legislatura, messe così le cose, quella di un governo di «larghe intese» (per capirci, di un governo Pd-Fi, posto che raggiunga la maggioranza in entrambe le camere) rischia di essere, di nuovo, l’unica strada percorribile.

E un’altra cosa, sulla quale ha molto insistito Claudio Cerasa, mi sembra chiara: «c’è un pezzo di Italia nuova, moderna, ottimista, non imbronciata, persino riformista che in questa campagna elettorale si è ritrovata a condividere, da posizioni diverse e trasversali, un Sì alla riforma costituzionale e al di là dell’esito finale del voto su quell’Italia val la pena di puntare». Un’Italia che oggi nel numero monografico del Foglio, Antonio Pascale prova a raccontare.

Insomma, «da una parte c’è un pezzo di paese che ha provato a realizzare il miracolo di creare consenso attorno ad un progetto, e dall’altra parte c’è un’Italia che ha anche legittimamente goduto nel ritrovarsi insieme non per dire sì qualcosa ma per dire no a qualcuno». I Sì incassati per la riforma costituzionale ammontano al 40,9 per cento, pari a 13.432.208 voti. Alle elezioni europee del 2014, il Pd di Renzi raccolse 11 milioni e 100mila voti, che già allora rappresentarono un risultato eccezionale. Si riparte da qui.

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