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«La transizione è (quasi) finita». È uscito in questi giorni il libro di Stefano Ceccanti.

E’ uscito in questi giorni il libro che il mio amico Stefano Ceccanti ha dedicato alla lunga transizione istituzionale che sembrerebbe ormai agli sgoccioli. Non per caso, infatti, il libro si intitola «La transizione è (quasi) finita». Quello di Stefano Ceccanti, come ha scritto Giovanni Cominelli, è «un libro di dottrina e di battaglia in vista del referendum costituzionale». Il sottotitolo, «Come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima», la dice lunghissima sull’approccio dell’autore che, già che c’era, ha appunto aggiunto in corsivo: «Verso il referendum costituzionale».Stefano Ceccanti, che è stato allievo di Augusto Barbera, è professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato e docente di Diritto parlamentare nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università «La Sapienza» di Roma e nella scorsa legislatura è stato senatore della Repubblica. É stato uno dei leader del movimento referendario che nei primi anni Novanta portò all’introduzione del sistema maggioritario e ha fatto parte di quella Commissione di saggi istituita dal governo Letta per fornire al Parlamento le coordinate di fondo della grande riforma. É opinionista sui quotidiani e suoi media ed è vicepresidente di «Libertà Eguale». Per dirla con il prof. Paolo Armaroli, «un tipo così il Pd se lo doveva tenere ben stretto. E invece Bersani, che negli ultimi anni non ne ha indovinata una neppure per sbaglio, non lo ha ricandidato. L’avesse sostituito con dei novelli Cavour, si capirebbe. E invece….».

Il libro non è però un bignamino della riforma Boschi. Stefano Ceccanti si muove nel tempo e nello spazio; si richiama alla Francia della Quarta e della Quinta Repubblica, delle quali è un esperto; si sofferma sulle istituzioni tedesche; evidenzia le metamorfosi e le anomalie della nostra forma di governo parlamentare; analizza il bicameralismo paritario che non ha eguali in tutto il mondo e che «non ci invidia proprio nessuno»; e si spinge più indietro, per mostrare che su alcune debolezze della Carta c’era consapevolezza sin dai tempi della Costituente, specie dal 1947, quando cambia il clima all’interno dell’Assemblea. Dc e Pci temevano ciascuno
la vittoria dell’altro nelle successive elezioni del 18 aprile 1948; il che ha generato una Carta «con un carattere eccessivamente garantista: dal bicameralismo paritario alla debolezza del Governo, a cui si rassegnarono anche i costituenti democristiani». In altre parole, «i problemi furono tutti visti dai Costituenti», come Ceccanti ha rimarcato in una recente intervista ad askanews, ma «a causa della frattura internazionale della Guerra Fredda non poterono essere affrontati. E’ così che la dura frattura ideologica portò a sistemi elettorali proporzionali quasi puri che a loro volta portavano con sé il germe dell’instabilità dei governi. Nello stesso tempo e per le stesse ragioni di diffidenza fu concepito un sistema istituzionale con una seconda Camera del tutto paritaria alla prima e nonostante  l’istituzione delle Regioni».

Ora ci siamo quasi e la riforma che sarà sottoposta a referendum nell’autunno del 2016, «potrebbe portare a soluzione gran parte dei problemi lasciati aperti nel 1946». «D’ora in poi – spiega Ceccanti – le sorti del governo si giocheranno nelle elezioni per una sola Camera, evitando esiti contraddittori che espongono a blocchi di sistema come è avvenuto nel 2013. Inoltre la presenza dei rappresentanti regionali nel Senato può evitare i conflitti Stato-Regioni che sono esplosi dopo la riforma del Titolo V e che non possono essere superati solo con nuovi elenchi di materie e che proprio per la mancanza di una camera di compensazione hanno ingolfato il lavoro della Corte Costituzionale». La riforma su cui a ottobre si voterà, dà vita a quel Senato delle Regioni e delle autonomie territoriali che era l’ipotesi iniziale di molti costituenti, e che potrebbe ridare un ruolo a quello che Costantino Mortati ha definito «un inutile doppione».

Raccomando la lettura del bel libro di Stefano Ceccanti. Specie se si considera che la possibilità di chiudere positivamente una lunghissima transizione, iniziata addirittura 70 anni fa, nella stessa Assemblea costituente che approvò l’attuale Carta, sarà nelle mani dei cittadini, che dovranno pronunciarsi nel referendum confermativo sulle riforme costituzionali.

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