MARAN (SCpI). Signor Presidente, ringrazio anzitutto la signora Ministro che si sta prodigando in questi giorni per riportare i militari a casa. La delicatezza e la complessità della situazione sono sotto gli occhi di tutti, come è sotto gli occhi di tutti il fatto che in gioco ci sono principi di fondo.
Naturalmente stendiamo un velo pietoso sugli errori del passato; sarebbe interessante sapere chi si assume la responsabilità di aver consentito alla Enrica Lexie, con a bordo i marò italiani, che si trovava in alto mare, di ottemperare all’invito delle autorità indiane a dirigersi nel porto di Kochi.
Per ben due volte, oltretutto, i soldati sono tornati in Italia: per licenza natalizia nel 2012 e, in seguito, per votare alle elezioni politiche. Anche qui sarebbe interessante sapere perché non si è esercitata, già la prima volta, l’obbligatorietà dell’azione penale e perché non si è aperto un fascicolo: non c’è un’ipotesi di reato? Non stiamo ripetendo che i due militari non sono soggetti alla legge indiana e spetta invece alla magistratura italiana ordinaria e militare giudicarli? Anche per confermare il fatto che i due marò non godono di alcuna immunità dalla giurisdizione italiana.
La seconda volta, poi, c’è stato anche un maldestro tentativo di non riconsegnarli, finito in farsa, perché l’Italia ha ceduto di fronte alle minacce indiane nei confronti del nostro agente diplomatico.
Ora si rincorrono le proposte più strampalate e c’è chi propone muscolose contromisure, senza spiegare esattamente in cosa consistano.
Cerchiamo di capirci. Come ha detto la signora Ministro, dopo la richiesta di applicazione del SUA Act (che rende evidente che l’atto imputato ai due marò, a parte ogni altra considerazione circa la veridicità dei fatti asseriti dall’accusa, non è ovviamente qualificabile come terrorismo), è chiaro che questo elemento trascende l’ambito bicamerale. Quindi, è bene che l’Unione europea sia scesa in campo, che si sia recuperata solidarietà europea; è bene che anche la NATO abbia riconfermato la propria solidarietà, così come apprezziamo l’iniziativa sul Segretario Generale dell’ONU, che si è lasciato andare a talune dichiarazioni, forse, appunto, per una malintesa preoccupazione di equidistanza, che non possono che sollevare in noi rammarico e perplessità. Ma è proprio il Segretario Generale delle Nazioni Unite, come sostiene peraltro il professor Ronzitti, l’organo che deve districare la matassa, perché la pirateria è ormai configurata come una minaccia alla pace o quantomeno alla sicurezza dei traffici marittimi. Il Segretario Generale può far tesoro dei numerosi precedenti, in cui i suoi predecessori hanno risolto complessi problemi di rapporti giurisdizionali tra gli Stati, proprio perché sono in gioco principi fondamentali del diritto internazionale.
Aggiungo che una riflessione sulle missioni internazionali a cui l’Italia partecipa è dovuta da tempo. Una delle costanti storiche che incidono sugli orientamenti della nostra politica estera è la condizione di vulnerabilità e di insicurezza per il nostro Paese che deriva dalla sua difficile posizione geostrategica nel Mediterraneo. Vincolata ad alleanze asimmetriche, ma necessarie (NATO, Unione europea), con Paesi più forti, l’Italia ha visto nella partecipazione alle missioni comuni il prezzo della partecipazione ad alleanze vantaggiose, che hanno consentito al nostro Paese di raggiungere obiettivi altrimenti impossibili. Tuttavia, nessuna politica estera seria può continuare a fondarsi sull’uso improprio delle missioni internazionali come unico strumento per difendere il rango dell’Italia nel mondo.
Le missioni internazionali hanno finito per diventare un surrogato di quello che non c’è ma dovrebbe esserci: una visione chiara e selettiva delle nostre priorità nel mondo e dei vari strumenti per difenderle. Il problema è che tutto ciò non venga scambiato – questa è una riflessione necessaria – con l’illusione di potersi finalmente disinteressare della sicurezza internazionale. Più di altri Paesi, l’Italia resta vulnerabile ed esposta sul piano geopolitico: una linea «alla Svizzera» non esiste per noi. Anche per questa ragione, perché la sicurezza attorno a noi sarà europea o non sarà, l’Italia deve restare un partner credibile – quindi, le minacce muscolari non hanno alcun fondamento – che può certo ridurre i vecchi oneri internazionali, ma che non potrà sottrarsi ai nuovi impegni che si profilano, economici e militari, perché queste sono le condizioni per riportare i marò a casa: l’iniziativa comune dell’Unione. Che l’Italia possa chiudersi in casa è quanto di più lontano ci sia dalla realtà di questo nuovo secolo. Anche per questa ragione noi sosterremo lo sforzo che il Ministro sta compiendo e compirà per riportare i militari a casa. (Applausi dai Gruppi SCpI e PI).