Seduta del 15 settembre 2015 – Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Maran. Ne ha facoltà.

MARAN (PD). Signora Presidente, colleghi, l’esigenza di una legge organica in grado di fornire una cornice normativa unitaria per l’invio di contingenti italiani all’estero è ampiamente condivisa. Com’è stato detto dai relatori, con la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali abbiamo contribuito ad importanti risultati di stabilizzazione in tante parti del mondo, abbiamo migliorato il nostro strumento militare ed il nostro Paese ha anche migliorato la sua immagine internazionale.

In passato le missioni internazionali sono state infatti uno strumento per difendere il rango dell’Italia nel mondo. Nel sistema internazionale di oggi, il rango di un Paese non dipende tanto o soltanto, ovviamente, dagli impegni militari globali: come direbbero gli economisti, si può sostenere che la partecipazione alle missioni internazionali offre benefici marginali più bassi che in passato, mentre ad esempio aumenta il peso della credibilità economica sia interna che globale.

L’Italia però non può permettersi un ripiegamento domestico: deve trovare un nuovo equilibrio tra vincoli interni e sicurezza esterna, un equilibrio che l’Italia, come del resto nessuno dei Paesi europei, potrà mai basare solo su scelte nazionali. L’Occidente, si sa, vive oggi una fase di parziale ripiegamento, sia perché esistono, a partire dagli Stati Uniti, vincoli economici più rilevanti di prima, sia perché i risultati dell’interventismo democratico sono stati piuttosto deludenti. Il problema è che tutto ciò non venga scambiato in Italia con l’illusione di potersi finalmente disinteressare della sicurezza internazionale: più di altri Paesi, l’Italia resta vulnerabile ed esposta sul piano geopolitico e per noi non esiste una linea alla Svizzera. Non solo, la riduzione della presenza americana ci obbligherà a fare di più per la stabilità dei nostri confini. Tra le costanti storiche che incidono sugli orientamenti della nostra politica estera, c’è appunto una condizione di duplice vulnerabilità ed insicurezza: verso l’esterno, a causa del debole assestamento e della continua fluidità di due versanti obbligati della politica estera italiana (la penisola balcanica e la sponda Sud del Mediterraneo) e verso l’interno a causa del periodico riemergere di debolezze politiche ed istituzionali di una statualità priva di forza.

C’è un’altra costante che, in ragione della prima, ha costituito e continua a costituire una risposta alla condizione di vulnerabilità, ed è l’ancoraggio ad alleanze bilaterali e a sistemi di alleanze con attori più forti, in grado di colmare il deficit di sicurezza internazionale e qualche volta anche interna del nostro Paese ed assicurare anche la partecipazione dell’Italia al tavolo delle principali potenze.

Il punto è che sullo sfondo di queste costanti storiche, oggi la politica estera italiana risente di altri due processi: non solo dell’indebolimento dell’opzione multilaterale, ma del fatto che l’America non ha più la scala, non ha più la forza e neppure il consenso interno per agire come Atlante che regge sulle spalle il mondo, per usare una definizione che in America circola spesso, fungendo al contempo da locomotiva economica e da garante della sicurezza militare e al tempo stesso noi assistiamo alla crisi di coesione, forse ancora più preoccupante, che grava sull’architrave stessa dell’opzione multilaterale dell’Italia, che è l’Unione europea. L’Europa è diventata sempre più introversa e frammentata e conta sempre meno sulla scena internazionale ed in America è in corso un ripiegamento e i cittadini americani, stretti tra le difficoltà economiche e le guerre inconcludenti ed interminabili in Afghanistan ed in Iraq, vorrebbero scrollarsi di dosso i fardelli geopolitici, ma né l’America né l’Europa possono permettersi una ritirata precipitosa; l’Alleanza atlantica deve misurarsi con una fase di incertezza e turbolenza della politica globale, in cui il potere dell’Occidente si sta spostando sempre di più verso i Paesi emergenti e gli sconvolgimenti che accompagneranno per forza di cose, inevitabilmente, questo terremoto possono essere affrontati con maggiore efficacia soltanto attraverso una stretta intesa tra Stati Uniti ed Europa e all’interno dell’Unione europea.

Anche per questa ragione, perché la sicurezza attorno a noi sarà europea o non sarà, l’Italia deve restare un partner credibile che potrà ridurre i vecchi oneri internazionali, ma che non potrà sottrarsi a nuovi impegni che si profilano, sia economici che militari.

Se lo si legge attentamente, l’articolo 11 chiarisce, in maniera inequivocabile, che ad essere proibito è un uso della forza armata di aggressione. Ed esso consente (dopo un punto e virgola, perché non c’è neanche un punto) quelle cessioni di sovranità necessarie per la costruzione, come processo attivo, della pace.

Anche per questa ragione noi riteniamo sia opportuno definire una cornice che possa consentire l’invio di contingenti militari italiani all’estero, e una cornice ragionevolmente unitaria. Che l’Italia possa chiudersi in casa è quanto di più lontano ci sia dalla realtà del XXI secolo. É per questo che, a nostro modo di vedere, questo disegno di legge quadro è benvenuto. (Applausi del senatore Latorre).