Discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 19 e 20 marzo 2015

Seduta n.412 del 18/03/2015

 

Maran (PD). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi, la riunione del Consiglio europeo avrà in agenda anche le questioni di politica estera che lei ha citato e su queste mi soffermo.

C’è una massima attribuita a Trotsky: «Tu puoi anche non mostrare alcun interesse per la guerra, ma prima o poi la guerra si interesserà sicuramente a te». In altre versioni, nella battuta vengono citate le parole «strategia», «storia», «politica internazionale» ma il senso non cambia: per quanto ci si possa disinteressare delle dinamiche conflittuali vicine e lontane, queste finiscono prima o poi per riguardarci direttamente, in particolare nel mondo di oggi e per il nostro Paese.

Una delle costanti storiche che sono destinate a pesare in qualunque contesto interno e internazionale e che incidono sugli orientamenti della politica estera italiana è proprio la nostra condizione di vulnerabilità e di insicurezza verso l’esterno, a causa del debole assestamento dei due versanti obbligati della politica estera italiana (la penisola balcanica e la sponda Sud del Mediterraneo), e anche verso l’interno, dove invece la vulnerabilità è il prodotto del periodico riemergere delle debolezze politiche e istituzionali di una statualità priva di forza.

In altre parole, la difficile posizione geostrategica nel Mediterraneo e la debole identità nazionale hanno sempre condizionato la credibilità della nostra politica estera e l’ancoraggio alle alleanze bilaterali o ai sistemi di alleanza con attori più forti ha costituito per molti versi – e continua a costituire – la risposta a questa condizione di insicurezza.

Vale la pena di ricordare che, in particolare oggi, noi italiani non dovremmo ignorare che viviamo nel posto più pericoloso del mondo, ai confini con la terza guerra mondiale, per citare papa Francesco o il re di Giordania e molti attori del Medio Oriente. Una guerra in cui il mondo arabo-islamico è l’epicentro, che in gran parte è una guerra civile, che si va dispiegando nel mondo arabo-islamico lungo le linee tradizionali di frattura tra sciiti e sunniti e lungo linee inedite.

Come ha osservato proprio il nostro collega Giorgio Tonini, dobbiamo prendere atto che l’era della onnipotenza dell’Occidente è finita, che non possiamo essere decisivi, ma solo utili; dobbiamo prendere atto che abbiamo il diritto di difenderci dall’incendio per impedirgli di estendersi fino a noi e di divorare anche noi; dobbiamo farlo rafforzando la solidarietà transatlantica e l’integrazione europea.

Il fatto è che il sistema internazionale costruito dopo la Seconda guerra mondiale è ormai irriconoscibile. La sua trasformazione è stata innescata dalla globalizzazione economica, è stata segnata da un trasferimento di ricchezza e di potere economico senza precedenti quanto a dimensione, velocità e direzione in corso tra l’Ovest e l’Est del mondo. In concomitanza con questo grande mutamento tra gli Stati Nazione, continua a crescere anche l’influenza degli attori non statali, del mondo degli affari, della criminalità, di organizzazioni religiose, di tribù.

La transizione tra il vecchio e il nuovo ordine – che è ancora in formazione – non sarà priva di rischi, anche perché l’Europa fatica a mantenere tassi di crescita robusti e non è scontato che riesca a superare le sfide economiche e sociali causate dal declino demografico, a partire da un welfare molto radicato che non siamo più in grado di sostenere come prima.

Soprattutto in questo contesto dobbiamo valorizzare i fattori positivi dell’accordo di Minsk sul conflitto nell’Ucraina orientale, in cui gli scontri pesanti si sono fermati e lo scambio di prigionieri ha permesso di riavviare un sottile filo di dialogo tra le parti in campo.

Devo dire che il suo recente viaggio a Mosca si è articolato in una sequenza diplomaticamente ineccepibile. Ha fatto bene il Governo a recuperare il ruolo di tradizionale mediatore che Roma svolge nelle tensioni tra Est e Ovest.

Ha fatto bene a mantenere un rapporto bilaterale privilegiato con la Russia quale fattore di garanzia per la difesa dei nostri interessi, non solo in ambito di sicurezza, ma anche in ambito energetico e commerciale. Non devo ricordare che il mercato russo ha un valore di 10 miliardi di euro per le esportazioni italiane, che si è ridotto del 12 per cento l’anno scorso, non solo a causa delle controsanzioni russe, ma anche della crisi finanziaria, della svalutazione del rublo, conseguenza delle sanzioni occidentali. Non devo ricordare che, nonostante le sanzioni, l’Italia rimane il quarto partner commerciale e che dalla visita a Mosca le imprese italiane riportano a casa accordi in ambito aeronautico, spaziale, energetico, industriale; non devo ricordare che uno dei nodi più difficili del negoziato riguarderà l’autonomia delle regioni filorusse e il nostro Paese può vantare, come lei ha citato, una buona pratica, cioè quella dell’autonomia dell’Alto Adige, quella del confine orientale: una delle componenti centrali delle tragedie del confine orientale è proprio quel conflitto nazionale che per quasi un secolo intero ha opposto italiani a sloveni e a croati.

Anche per quel che riguarda la crisi libica, che rappresenta oggi una delle principali sfide per la comunità internazionale che rischia di condizionare la stabilità e la sicurezza dell’intera regione del Mediterraneo, c’è la necessità di trovare alleati in ambito ONU. L’Italia ha sostenuto fin dal primo momento con determinazione, anche in ambito europeo, il processo di dialogo inclusivo sponsorizzato dalle Nazioni Unite che ha preso il via a Ginevra e ha fatto segnare una nuova tappa i giorni scorsi in Marocco. Una sistemazione pacifica e duratura della Libia può derivare unicamente da un accordo politico tra le parti e non da un nuovo intervento militare esterno, che porterebbe nuovi scompensi ed equilibri molto fragili.

La Russia continua essere protagonista di qualsivoglia azione internazionale. Considerando la delicatezza dello scenario libico, la Russia può svolgere un ruolo diretto sia in supporto di potenze regionali implicate nella crisi, in primis l’Egitto del generale al-Sisi, sia di un maggiore coinvolgimento per la stabilità del grande Medioriente e contro lo Stato islamico in Siria e in Iraq, e per la trattativa sul nucleare iraniano. C’è da augurarsi che questa relazione possa tornare a funzionare davvero, sia per il business che per la sicurezza nel Mediterraneo. Noi sappiamo che non c’è altra via d’uscita per il mondo arabo-islamico se non una via arabo-islamica alla democrazia, alla libertà, ai diritti incomprimibili delle persone e dei popoli e la nostra diplomazia bilaterale, multilaterale e la nostra cooperazione internazionale non possono che avere questo orizzonte.

Signor Presidente, il nostro futuro è necessariamente legato a quello dei nostri partner europei ed è proprio da questa consapevolezza, da questo comune destino che bisogna far ripartire con più determinazione il processo d’integrazione europea. È questo il cuore della nostra identità cui lei accennava, un cuore mediterraneo che può consentire al nostro continente di ritrovare uno spazio in un mondo che è cambiato in modo vorticoso. (Applausi dei Gruppi PD eAP (NCD-UDC) e del senatore Zeller).