Riforma elettorale. Dichiarazione di voto sul ddl n. 1385, recante disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati.

Seduta del 27 gennaio 2015

 

MARAN (SCpI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAN (SCpI). Signora Presidente, colleghi, oggi termina una discussione che va avanti in Aula, identica ogni giorno, dal 7 gennaio. Sicuramente, signor Sottosegretario, lei ricorderà «Il giorno della marmotta» («Groundhog Day»): è una commedia del 1993, interpretata da Bill Murray. Nel film il protagonista, un meteorologo inviato come reporter al Giorno della marmotta, si trova intrappolato in un loop temporale che lo costringe a rivivere continuamente la stessa giornata. Ogni mattina alle 6 in punto viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale e da allora la giornata trascorre inesorabilmente allo stesso modo della precedente, gli eventi si ripetono esattamente uguali ogni giorno.

Anche la discussione sulla legge elettorale è intrappolata in una specie di circolo temporale e si ripete esattamente uguale ogni giorno dalla fine della prima Repubblica, che cominciò proprio da un referendum contro le preferenze. Le preferenze sono state bocciate dagli italiani con due referendum, nel 1991 e nel 1993 e con maggioranze travolgenti, rispettivamente del 96 e dell’83 per cento. Allora erano considerate, anche da Bersani, un veicolo di dilatazione dei costi della politica, di raccolta clientelare del consenso, di fenomeni corruttivi, di frazionamento dei partiti, di instabilità dei Governi. Oggi sono considerate dalla minoranza del PD la quintessenza della democrazia, anche se nelle elezioni in cui sono previste sono utilizzate da meno di due elettori su 10 al Nord e da sei su 10 al Sud, un dato su cui ognuno può trarre le sue conclusioni. Resta il fatto che, il 18 aprile del 1993, 11 milioni e 662mila elettori su 14 milioni votarono a favore del referendum per abrogare significative parti della legge elettorale del Senato e consentire che in questo modo, grazie alla normativa di risulta, la vecchia legge proporzionale potesse trasformarsi in una legge in grado di introdurre e dare vita ad un sistema elettorale prevalentemente maggioritario. In quel giorno, gli italiani hanno deciso che la governabilità doveva prevalere rispetto alla rappresentatività e soprattutto che il loro voto doveva contare di più, perché oltre a quello sulla rappresentanza parlamentare ci doveva essere quello a favore dell’investitura del Governo, come da tempo avviene nelle grandi democrazie occidentali.

Certo, quel voto referendario di 22 anni fa non poteva scegliere un preciso sistema elettorale, ma ha indicato chiaramente una filosofia del voto precisa, che consegna agli elettori la libertà di scegliere una maggioranza ed un Governo.

Da allora, l’Italia non ha completato la sua transizione istituzionale; da allora, la competizione bipolare è stata costantemente ipotecata dalla persistenza del precedente sistema istituzionale e da una struttura incoerente e frammentata delle due principali coalizioni, perché una parte del sistema politico non ha mai accettato il sistema bipolare e nella migliore delle ipotesi ha cercato di piegare la situazione alle vecchie logiche proporzionaliste: lo strappo della minoranza del PD sull’Italicum, le accuse di autoritarismo rivolte a Renzi, la nostalgia della collegialità oligarchica la dicono lunghissima sulla concezione della politica del partito che divide il leader del PD dai suoi oppositori, interni ed esterni.

Certo, in molti prendono atto che non è possibile praticare la vecchia forma della partecipazione alla politica, ma continuano a ritenere che quella forma della partecipazione alla politica e quel sistema politico siano i migliori e dunque cercano di avvicinarsi a quel modello e di salvare più elementi possibili di quella esperienza, ma questo atteggiamento nasce da una visione statica e conservatrice.

Ci sono tanti sistemi elettorali nel mondo, ogni Paese ha il suo: si pensi alla Francia del doppio turno, alla Gran Bretagna dell’uninominale, alla Germania della clausola di sbarramento, alla Spagna dei collegi provinciali ristretti; Spagna, Germania, Austria, Olanda e Portogallo hanno le liste bloccate, in Francia ed in Inghilterra i candidati nei collegi uninominali sono scelti dai partiti: l’istituto delle primarie è pressoché sconosciuto. Anche l’Italia ha diritto ad avere un suo sistema elettorale e la soluzione proposta va valutata in relazione agli obiettivi che ci si prefigge.

Dopo la sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, l’andazzo è quello di accusare tutto ciò che non si condivide di incostituzionalità, ma quella sentenza ha solo chiesto una soglia minima per il premio e che le liste bloccate non siano lunghe. Si possono ovviamente prospettare altre conseguenze, ma sono ricostruzioni personali che non stanno dentro la sentenza. E continuo a pensare che l’obiettivo di un sistema bipolare sia l’unico in grado di dare vita ad un Governo legittimato dal corpo elettorale, evitando l’ingovernabilità o il ricorso a grandi coalizioni non omogenee in modo permanente.

Alla luce di questo obiettivo, noi giudichiamo positivo, nel complesso, il testo in discussione che prevede l’assegnazione di un premio di maggioranza fin dal primo turno e l’eventuale ballottaggio a livello nazionale nel caso di mancato conseguimento del premio. È appena il caso di osservare che il paladino della sinistra di casa nostra ha vinto in Grecia con un premio di maggioranza che quella stessa sinistra nega come legittimo. Con il 36 per cento.

Nel corso della discussione abbiamo evidenziato alcuni punti critici che hanno trovato un aggiustamento soddisfacente. La riforma non sarà l’ideale – ovviamente ognuno di noi ha in testa il suo sistema elettorale, come ciascuno di noi ha in testa la propria formazione della nazionale – ma certamente è meglio del sistema attualmente in vigore e di quello che lo ha preceduto. E allora perché fare delle preferenze – uno strumento che, come sappiamo, ha tanti limiti – una questione di principio, ignorando il fatto che il testo in esame ha introdotto un meccanismo flessibile, che combina in misura variabile voto bloccato e voto di preferenza? Circa la metà dei candidati saranno eletti con il voto bloccato e la metà con il voto di preferenza.

Il passo avanti è notevole. E chiedere di più vuol dire solo che si vuole far saltare la riforma o che si vuole usare la riforma per far saltare il Premier. Ma forse il danno principale di questo modo di far politica è proprio nel costringere il dibattito su questioni marginali, facendo perdere di vista ciò che davvero conta. Quel che conta davvero è che la riforma elettorale garantisce quella governabilità decisiva per le riforme e quindi per il rilancio dell’economia, attribuisce all’elettore la scelta su chi governa, semplifica il sistema dei partiti, toglie alibi ai Governi sui risultati del proprio operato. Quel che davvero conta è il sistema elettorale sia finalizzato a favorire il formarsi di una maggioranza e di un Governo, scelto e legittimato attraverso il voto degli elettori.

Certo, non c’è nella proposta in discussione l’elezione diretta, che richiederebbe una revisione costituzionale, ma con il ballottaggio tra le due liste, il leader è destinato ad avere una “legittimazione diretta” da parte del corpo elettorale. Il sistema a doppio turno consente, infatti, all’elettore di scegliere direttamente chi è legittimato a governare. Compito dei sistemi elettorali in un sistema parlamentare non è solo quello di rappresentare, ma anche quello di esprimere un Governo.

In sostanza la questione è ancora quella che era alla base del referendum del 1993: sono i partiti o i cittadini a scegliere il Governo? E questo risponde ai partiti o ai cittadini? Siamo sempre lì, costretti da allora a rivivere continuamente la stessa giornata.

È ora di uscirne. Ma per uscire dall’incantesimo e portare il Paese verso una democrazia dell’alternanza e combattere la frammentazione, dobbiamo superare quella contrapposizione frontale che ha lacerato gli ultimi vent’anni di storia nazionale.

Ha ragione Renzi quando dice: faccio l’accordo con Berlusconi per non essere costretto a governare con lui per sempre, a fare le larghe intese permanenti o gli inciuci. Diciamoci la verità. Il vero obiettivo di molti degli oppositori della riforma e della minoranza del PD non sono tanto i capilista bloccati, ma il “patto del Nazareno”. L’esito della convergenza potrebbe, infatti, determinare finalmente un cambiamento strutturale della nostra democrazia. Con l’Italicum si possono creare le condizioni di un bi-partitismo, con Governi non più prigionieri di coalizioni frammentate e litigiose. Con il superamento del bicameralismo perfetto, si possono creare condizioni di Governi più stabilì.

Certo, saranno necessari altri provvedimenti per sostenere questi cambiamenti. Quello della modifica dei Regolamenti parlamentari, di cui ha parlato la senatrice Lanzillotta, è un cantiere da aprire al più presto.

Non occorre, però, scomodare Weber o Schumpeter per capire le implicazioni della competizione. Ne ha parlato uno studioso attento come Sergio Fabbrini. In un mercato competitivo, le imprese che crescono sono quelle guidate da imprenditori che sanno inventare nuovi prodotti e sperimentare nuove tecniche. In una democrazia competitiva, i partiti che governano sono quelli guidati da leader che propongono programmi di Governo convincenti e credibili. In entrambi i casi, chi sbaglia o chi perde, dovrà essere sostituito. Partiti oligarchici sono inconciliabili con democrazie competitive.

Insomma, se le riforme istituzionali avranno successo, allora vuol dire che nuove organizzazioni e nuove mentalità avranno la possibilità di affermarsi anche in Italia. Solo allora potremo spezzare la maledizione e uscire da questo circuito temporale.

C’è chi paventa il rischio di un eccesso di predominio della maggioranza. Ma in un Paese ricco di bilanciamenti fino all’immobilismo come l’Italia, non è un rischio credibile. Come ricordava Giuseppe Dossetti, il bicameralismo, il garantismo eccessivo della Seconda Parte della Costituzione è nato per eccesso di paura dell’altro. Fu la paura alla base della scelta del sistema proporzionale nella versione più pura tra tutti i Paesi europei. i. Ma dobbiamo liberarci dal complesso del tiranno, dobbiamo liberarci dalla paura.

Anche perché oggi lo spartiacque fondamentale della politica italiana non è quello tra la vecchia sinistra e la vecchia destra. Il vero discrimine è tra chi è convinto che la strategia migliore per uscire dalla crisi sia quella concordata con i nostri partner europei – fatta di riforme strutturali incisive anche per ottenere le politiche espansive dell’Unione – e chi invece è convinto che proprio questa strategia sia la rovina del Paese.

In altre parole, tra chi vuole cogliere l’occasione offerta dalla crisi per innescare un processo di rapido allineamento dell’Italia ai migliori standard europei e chi pensa che questo progetto sia irrealizzabile, perché l’Italia è diversa e “in Italia queste cose non sì possono fare”. Su questi due nuovi versanti le forze politiche potranno aggregarsi o separarsi, come abbiamo visto avvenire in Grecia.

 Noi crediamo che l’Italia ce la possa fare, che nuove organizzazioni e nuove mentalità avranno la possibilità di affermarsi anche in Italia, che non si debba aver paura. Annunciamo pertanto il nostro voto favorevole. (Applausi dei Gruppi SCpI e PD).