Proposta di revisione della Parte II della Costituzione (ddl cost. n. 1429 e connessi). Dichiarazione di voto sull’emendamento 1.1556 all’articolo 1.

Seduta n. 295 del 30/07/2014

 

MARAN (SCpI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAN (SCpI). Signor Presidente, colleghi, annuncio il voto contrario del mio Gruppo. Voglio rapidamente svolgere alcune considerazioni, posto che la questione dell’elettività viene sollevata come la questione centrale. Quel che più colpisce, nella discussione in corso sulla riforma, è proprio la nostalgia del passato: l’avversione e l’intolleranza per ogni innovazione ed ogni influsso straniero. Ne deriva un vagheggiamento acritico di quel che è stato: il mito del passato come epoca felice, il disprezzo del presente. In altre parole, la democrazia o è quella di tipo consensuale e consociativo, che è stata nell’Italia del Dopoguerra, o non è.

Messe così le cose, una seconda Camera eletta dai Consigli regionali e non dai cittadini sarebbe un’Istituzione sostanzialmente non democratica. Eppure, in Europa quella dell’elettività diretta della seconda Camera non è una regola; anzi, tutto l’opposto. Non avviene in Germania, in Austria; non succede in Francia; per non parlare del Regno Unito. Solo 13 dei 28 Paesi dell’Unione europea hanno una seconda Camera e, tra questi, solo in cinque Paesi i suoi membri sono eletti direttamente. Solo in tre di questi cinque Paesi la seconda Camera ha dei poteri legislativi rilevanti e solo in Italia il Senato ha gli stessi poteri della Camera; un relitto di quando ciascuno degli schieramenti temeva il 18 aprile dell’avversario.

Poi, la combinazione di premio di maggioranza e Senato non elettivo sarebbe un attentato alla democrazia. Naturalmente la legge elettorale bisognerà farla bene e l’apertura del Presidente del Consiglio depone per una stagione di cambiamento. Ma se davvero fosse così, il Regno Unito e la Francia non sarebbero sistemi democratici? La Camera dei Lord non è certo una istituzione eletta dal popolo e anche il Senato francese non è eletto dai cittadini. Eppure, nel 2005 il Labour party vinse con il 35 per cento dei voti e ottenne il 55 per cento dei seggi e, con il 29 per cento dei voti ottenuti al primo turno, Hollande ha conquistato il 53 per cento di seggi nella Assemblea nazionale.

Inoltre, chissà perché, innalzare le Regioni e i Governi locali al piano delle istituzioni parlamentari sarebbe incongruo e inopportuno dimenticando che, ad esempio, i sindaci e i Presidenti di Regione sono autorità democratiche elette direttamente, che i consiglieri regionali vengono eletti con le preferenze e che entrambi non hanno nulla da invidiare in termini di pedigree democratico ai senatori e deputati, anche perché le scene viste non molti anni fa – ricordo la mortadella in questa Aula – non è che depongano per una particolare primazia dei parlamentari. Si dimentica inoltre che dall’azione delle Regioni e dei Comuni dipende larga parte dell’erogazione dei servizi sociali, dell’attuazione delle leggi e delle politiche statali, della spesa pubblica e che porre all’interno delle istituzioni costituzionali il luogo del coordinamento tra la legislazione dello Stato e la sua attuazione nei territori è una necessità imprescindibile per il buon funzionamento del sistema costituzionale, visto che la nostra Repubblica non è più quella di prima, è già cambiata e oggi risulta incompiuta, a metà. Infatti, comunque la si consideri, la riforma del Titolo V, voluta dal centrosinistra e confermata dal voto popolare nel referendum del settembre del 2001 ha apportato alla parte II della Costituzione (che regola i rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali) modifiche profondissime. La mancanza del luogo parlamentare di mediazione è forse il principale punto critico della riforma ed è questo che consiglia di costruire una Camera delle autonomie e di non scegliere la strada più semplice in apparenza del monocameralismo.

Nonostante questo, c’è chi continua a sostenere che una riforma copiata da modelli nati in altre culture e in differenti circostanze storiche male si attaglia alla nostra situazione perché, come sempre, l’Italia è diversa e non si può fare. Tutti i Paesi – e non solo quelli europei – hanno dovuto adattarsi ai grandi cambiamenti che sono intervenuti nel dopoguerra, nell’organizzazione, nella funzione e nella stessa filosofia dello Stato moderno. Dovunque le sollecitazioni sono state più o meno le stesse e i problemi che i sistemi di relazione centro-periferia hanno dovuto affrontare sono stati più o meno gli stessi, come simili sono state le risposte che hanno elaborato. Tutti hanno cercato di far tesoro delle esperienze degli altri. I sistemi federali di lingua tedesca si sono evoluti «copiando» a turno l’uno dall’altro; le esperienze regionali in Italia sono state studiate per la Costituzione spagnola. Ora la Spagna sta discutendo l’introduzione dell’elezione diretta del sindaco e naturalmente le esperienze costituzionali spagnole, come quelle federali tedesche, sono uno dei punti di riferimento indispensabili del nostro dibattito.

Il nostro declino ha tante ragioni, ma una di queste è la cultura del conservatorismo costituzionale che scambia per pregi i limiti del processo costituente del 1947 dovuti alla Guerra Fredda (che gli stessi Costituenti avvertivano come limiti, basti pensare che Mortati aveva definito il Senato un inutile doppione della Camera). (Commenti del senatore Consiglio). Non c’è da una parte la democrazia e dall’altra un tentativo autoritario o parafascista come pensano alcuni burloni. Sono a confronto due concezioni della democrazia. L’una è assembleare e fondata sulla cosiddetta centralità del Parlamento; l’altra è fondata sulla responsabilità degli Esecutivi. La prima era propria della peculiarità italiana, quella del dopoguerra, parte dell’anomalia di un sistema politico caratterizzato dalla mancanza di alternanza. La seconda è propria dei sistemi parlamentari più avanzati. Con i due referendum del 1991 e del 1993 il popolo si è espresso e abbiamo messo in discussione il proporzionalismo e le forme assembleari del nostro Parlamento. È da allora che abbiamo superato la democrazia consociativa per affermare un modello di democrazia governante. Noi, colleghi, non abbiamo cambiato idea.

Presidente, con riferimento all’emendamento rilevo che la prima parte è già stata respinta con l’emendamento 1.88. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).