Discussione e approvazione della richiesta di dichiarazione d’urgenza, ai sensi dell’articolo 77 del Regolamento, in ordine ai disegni di legge 356-396-406-432-559-674-685

Resoconto stenografico della seduta n. 093 del 08/08/2013

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Discussione e approvazione della richiesta di dichiarazione d’urgenza, ai sensi dell’articolo 77 del Regolamento, in ordine ai disegni di legge:

(356) FINOCCHIARO e ZANDA. – Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, nonché delega al Governo per la determinazione dei collegi uninominali

(396) DE PETRIS ed altri. – Abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, e reintroduzione della disciplina elettorale per la Camera e per il Senato, basata sul sistema maggioritario

(406) FRAVEZZI ed altri. – Modifiche al sistema elettorale per l’elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati

(432) ESPOSITO Stefano ed altri. – Abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, in materia di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica

(559) CALDEROLI. – Modificazioni della normativa per le elezioni alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica

(674) DI GIORGI ed altri. – Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica

(685) FINOCCHIARO ed altri. – Disposizioni transitorie per l’elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati (ore 11,43)

 

MARAN (SCpI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAN (SCpI). Signor Presidente, colleghi, il Gruppo Scelta Civica voterà a favore della dichiarazione di urgenza. Ricordo che l’attuale Governo (un Esecutivo di emergenza, come sappiamo) ha vincolato – e ha fatto bene – la propria durata ad un percorso efficace e tempestivo di riordino istituzionale. È importante che, superata questa fase, inizi un percorso nuovo, con elezioni realmente decisive per stabilire chi governa, in grado di realizzare il programma di legislatura sottoposto agli elettori, in un quadro aggiornato ed equilibrato che comprenda nuove garanzie e contropoteri. E ciò non può accadere solo con una riforma elettorale.

Ma, come andiamo ripetendo da un sacco di tempo e come abbiamo sostenuto anche nel corso della discussione sulle procedure circa la modifica della Costituzione, c’è l’esigenza pressante di uscire dal porcellum, da quella porcata, per usare una celebre definizione, di cui – abbiamo appreso ieri – è stato vittima il senatore Calderoli.

Ognuno la racconta come vuole, ma la vera ragione del porcellum è un’altra. Allora (vi ricordate?) la Casa delle Libertà prendeva più voti nell’arena proporzionale, dove i partiti si presentavano da soli, rispetto all’arena maggioritaria, dove la coalizione si presentava con candidati comuni. È stato così nelle elezioni del 2001 (la differenza è stata di oltre un milione e mezzo di voti) e nel 1996; per l’allora Ulivo era vero il contrario. Tra le ragioni di questi diversi rendimenti delle coalizioni, c’era il fatto che l’elettorato del centrodestra tendeva a votare i partiti della Casa delle Libertà, ma non sempre i suoi candidati nei collegi. Ecco perché si è voluto modificare la legge elettorale.

Naturalmente questo tentativo non aveva niente a che vedere con l’idea di ridurre la frammentazione, di garantire la formazione di coalizioni meno eterogenee, più stabili. Il fatto era molto più semplice: si riteneva di poter guadagnare qualcosa di più nella sfida elettorale e soprattutto di minare la stabilità del Governo successivo. Ma questo è il punto: la vera porcata, mi si passi la celebre definizione, è proprio quella di usare la legge elettorale o le riforme costituzionali come terreno di un possibile incontro, di mediazione tra partiti che sono in conflitto tra loro sul terreno delle politiche concrete, dando – così era allora – alla Lega la devolution e all’UDC il proporzionale, garantendo a Fini Roma capitale. E poi si vedrà.

Oggi come allora, il dibattito parlamentare dovrebbe chiarire proprio questo: se la riforma possa consolidare o indebolire il bipolarismo, se possa incrementare o ridurre la frammentazione del sistema dei partiti e se, soprattutto, essa favorisce o meno la capacità dei Governi di durare e di decidere. Sono queste le domande alle quali dovremo rispondere e che rappresentano i nodi da sciogliere per migliorare effettivamente il funzionamento della nostra democrazia.

Quindi, questo vale anche per l’oggi, perché ci sono dei problemi strutturali e costituzionali che in parecchi fingono di non vedere, come quello di un Governo appeso ai risultati elettorali di due Camere diverse, con i giovani tra i 18 e i 25 anni che votano solo alla Camera dei deputati e non al Senato, ai sensi dell’articolo 58 della Costituzione, il cui comportamento elettorale è per ora molto diverso dal resto della popolazione. Dunque, anche allineando la formula elettorale del Senato a quella della Camera, non è affatto detto che il vincitore risulti lo stesso nelle due Camere. Quindi, o si toglie il voto di fiducia al Senato o si allineano gli elettorati, facendo votare anche i giovani tra i 18 e i 25 anni al Senato. Senza questo intervento costituzionale resta alto il rischio di nuove elezioni non decisive.

Anche la restaurazione del Mattarellum non produrrà risultati così immediati, e non soltanto perché si tratta di ridisegnare e di riscrivere i collegi, ma perché qualsiasi legge che si basi su collegi uninominali – che è la soluzione a mio modo di vedere migliore per ciò che riguarda il rapporto tra eletti ed elettori – di per sé non produce un sicuro vincitore delle elezioni in presenza di tre schieramenti quasi equivalenti.

Più in generale, da circa vent’anni la strada di una razionalizzazione della forma parlamentare – peraltro si tratta di un’indicazione che è scaturita anche dal gruppo dei saggi – è stata perseguita sul piano dell’innovazione della legislazione elettorale. È vero che questa innovazione è stata incoerente, incentivando contemporaneamente la bipolarizzazione e la frammentazione, e anche regressiva – questo è il caso del porcellum – ma va anche detto che, al netto di questi interventi contraddittori, il sistema non è sembrato in grado, anche se fosse stato meglio sollecitato, di configurarsi come una base idonea al funzionamento di una forma di Governo parlamentare efficiente, perché essa richiede una strutturazione, se non proprio bipartitica, almeno bipolare, con coalizioni coese intorno ad un partito guida, la cui leadership interna, di partito, ed esterna, di Governo, sia unificata e indiscussa e richiede inoltre che il numero dei componenti della coalizione sia limitato. Essa richiede insomma un altro sistema politico. In assenza di questi requisiti di base, le leggi elettorali non possono funzionare come norme di razionalizzazione, o lo possono fare ben poco.

Come sappiamo, la vita di questo Parlamento può essere breve e c’è l’esigenza pressante, come dicevo prima, di uscire dal porcellum, specie se si considera che l’ordinanza della Corte di cassazione, che ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, pone il problema politico di individuare soluzioni ponte capaci di sanare i due grandi difetti legislativi indicati: bisogna quindi fare presto.

Possiamo provare a delineare due possibili soluzioni sui due aspetti critici: lo dico solo come sollecitazione per affrontare il nodo delle finalità. In relazione al rapporto tra eletti ed elettori, che è quello più semplice, e dunque limitando l’intervento al minimo, è più semplice prevedere il superamento soft delle lunghe liste bloccate, per cui sarebbe sufficiente la spagnolizzazione delle attuali circoscrizioni ad un livello provinciale o pluriprovinciale.

Invece, per quanto riguarda il possibile carattere ecessivo del premio di maggioranza, ciò richiede un chiarimento sulle finalità, perché se si persegue l’obiettivo di una democrazia governante, in modo analogo a tutti gli altri livelli di governo, la soluzione più razionale è quella del ballottaggio tra le due liste o le due coalizioni più votate al primo turno, nel caso in cui nessuno abbia raggiunto la soglia prevista, ripartendo il premio nazionale anche al Senato. Prendere altre strade, come quella di eliminare il premio, direttamente o indirettamente, significa fare una scelta opposta a una democrazia governante, ovvero ripetere con tutta probabilità la strada delle grandi intese obbligate al centro, per un lungo periodo.

Lo dico perché il senatore Crimi lo ha esplicitato in una recentissima intervista. Al Movimento 5 Stelle interessa che ci sia meno governabilità possibile per accelerare il crollo del sistema; giova che ci sia più sistema proporzionale possibile per imporre di nuovo le larghe intese in modo che si verifichi la falsa profezia di un’equivalenza fra tutti: “tutti sono uguali”; giova che i singoli parlamentari siano più a rischio nella loro autonomia e, quindi, non eletti in collegi uninominali. È una scelta che si può fare e motivare soltanto se si assume quell’obiettivo, ma se quell’obiettivo lo si ritiene sbagliato, quella scelta non va fatta.

Scelta Civica ritiene che si debba passare definitivamente da una concezione e una pratica politica fondata su una scelta di appartenenza ad una pratica politica e ad una concezione della politica fondata sulla responsabilità della scelta per il governo del Paese. Scelta Civica sosterrà questo sforzo. (Applausi dai Gruppi SCpI e PD).