Seduta n. 041 del 13/06/2013 – Deliberazione sulla richiesta di dichiarazione d’urgenza, ai sensi dell’articolo 77 del Regolamento, in ordine al disegno di legge costituzionale: (813) Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali.

Resoconto stenografico della seduta n. 041 del 13/06/2013

Video della seduta

MARAN (SCpI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARAN (SCpI). Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, Scelta Civica voterà la procedura d’urgenza richiesta dal Governo. Per usare le parole del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, consideriamo ineludibile il processo di riforma della Parte II della Costituzione. Allo stesso tempo non vorremmo si cadesse nella trappola di fare nel nostro attuale sistema istituzionale il parafulmine su cui scaricare tutte le responsabilità delle gravi insufficienze della politica. A parità di Costituzioni e di leggi elettorali, alcuni Paesi funzionano bene, altri no. La stessa esperienza del Governo Monti si può discutere ovviamente nel merito, ma nessuno può negare che sia stata in grado di produrre un’attività di Governo intensa. Se nel volgere di poche settimane abbiamo messo in campo e approvato – dico “abbiamo” perché i partiti che sostengono l’attuale Governo sono gli stessi che hanno sostenuto il Governo Monti – cose che si attendevano da vent’anni è perché la politica è riuscita, in un sussulto di emergenza e di coscienza, a togliersi il freno che normalmente si autoimpone: quello di non prendere misure impopolari.

Dunque, facciamo presto, ma dobbiamo anche evitare che il tema delle riforme istituzionali finisca per assorbire tutte le energie politiche di questa fase, soprattutto se questo significa disarmare o anche solo rallentare le riforme economiche e sociali: soprattutto se non si comprende il significato di una grande coalizione come quella che oggi governa il Paese, che sta nella capacità di assorbire meglio i costi politici da parte di ciascuna forza. Questo è il punto essenziale, perché si tratta di chiedere ancora agli italiani una trasformazione, un adattamento (il mondo sta cambiando vorticosamente), che costa qualcosa a ciascuno, ma è utile a tutti.

Segnali di arretramento non mancano. Penso, solo per fare un esempio, al ridisegno della geografia giudiziaria, con la riduzione dei tribunali portata a compimento dal guardasigilli Paola Severino. Su questo fronte torniamo a cedere ad interessi particolari e corporativi e, se lo facciamo, il Paese fa un passo indietro.

In effetti – ricordo solo questo – non è vero che in Italia si spende troppo poco per la giustizia rispetto agli altri Paesi europei; non è vero che i magistrati italiani sono troppo pochi, anche se è vero che sono male distribuiti. Svezia, Germania ed Olanda – basta dare un’occhiata ai dati della Commissione europea per l’efficacia della giustizia – svolgono i processi civili in meno della metà del tempo necessario in Italia per cause di analogo contenuto, impegnando risorse pubbliche qualche volta inferiori a quelle italiane.

I progressi conseguiti vanno preservati, perché disperderli avrebbe conseguenze gravi. Non c’è da scherzare, i mali italiani sono profondi. Lo dico con le parole del Governatore della Banca d’Italia: «Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni».

L’aggiustamento richiesto, e così a lungo rinviato, ha una portata storica, con implicazioni per le modalità di accumulazione del capitale materiale e immateriale, la specializzazione e l’organizzazione produttiva, il sistema di istruzione, le competenze, i percorsi occupazionali, le caratteristiche del modello di welfare, la distribuzione dei redditi, le rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo, il funzionamento dell’amministrazione pubblica.

È un aggiustamento che necessita, inoltre, del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive. Qualcosa di molto diverso dal grido: «Basta austerità!» di chi punta alla crescita attraverso il solito deficit spending.

Stenta a farsi strada l’idea che dobbiamo curare l’economia non con i cerotti, ma con riforme in grado di riassorbire il deficit di competitività. Anche se la Germania uscisse dall’euro, i Paesi del Sud Europa rimarrebbero con i loro problemi di competitività e, dunque, di produttività, che si risolvono cambiando ruoli ed aspettative sia degli individui che delle organizzazioni.

Detto questo, è proprio per tali motivi che è necessario avviare il processo di riforma della Parte II della Costituzione.

Nessuno di noi probabilmente arriva a sostenere il celebre punto di vista di Thomas Jefferson, secondo il quale le Costituzioni normalmente fanno il loro corso nell’arco di vent’anni. Che cosa voleva dire con questo? Jefferson sentiva che sono gli esseri viventi e non i morti a dover forgiare le regole secondo le quali essi stessi sono governati. Ma anche ciascuno di noi – ne ha parlato il Ministro nella sua introduzione – sente l’ondata del cambiamento.

Il nostro Paese non è più quella che si definiva una democrazia industriale e neppure quel Paese, ancora prevalentemente agricolo, in cui il sistema politico e la sua Costituzione furono originariamente concepiti. Ciò vale anche per altri Paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, lo stallo partigiano e fazioso è diventato la norma, paralizzando la capacità dei leader politici di agire. Come sappiamo, poi, nella stessa Eurozona la divisione circa la soluzione della crisi del debito ha messo in discussione tanto il progetto di integrazione che il contratto sociale europeo, e per riconquistare il suo equilibrio l’Europa o torna indietro allo Stato-Nazione o va avanti fino in fondo verso un’unione politica.

La domanda di come si esce da tutto questo e di come si costruisce il futuro ci pone di fronte ad un paradosso, perché oggi proprio le pratiche e le istituzioni che finora hanno funzionato sono il maggiore impedimento per procedere in avanti. È soltanto ricalibrando la configurazione del sistema politico-istituzionale allo scopo di costruire e stabilire una buona governance che possiamo evitare la paralisi, quella che abbiamo conosciuto negli anni scorsi.

Per superare finalmente l’impotenza a riformare, dunque, ci sono tutte le condizioni; ci sono tutte le condizioni per riuscire. Facciamo presto quindi, e facciamo bene. (Applausi dal Gruppo SCpI e dei senatori Ghedini Rita e Russo).